LA CONVERSIONE DI SAULO

LA CONVERSIONE DI SAULO

 

Sacerdozio..e ministeri..

Ultimo Aggiornamento: 12/05/2011 18:57
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L'incontro con Dio è un atto squisitamente individuale:

Il punto di incontro essenziale con il mistero religioso, con Dio, è nella cella interiore del nostro intimo, è in quella attività personale, che chiamiamo orazione. E' in questa attitudine di ricerca, di ascoltazione, di supplica, di docilità che l'azione di Dio ci raggiunge normalmente, ci dà luce, ci dà il senso delle cose reali e invisibili del suo regno; ci fa buoni, ci fa forti, ci fa fedeli, ci fa come lui ci vuole. Da questo incontro scaturisce la brama di fare nostro, il più possibile, il comportamento di Cristo nel suo amore verso Dio e verso il prossimo, cosicché il credente possa giungere a ripetere con Paolo: « Non sono più io, che vivo, ma è il Cristo che vive in me » (Ga 2, 20; Rm 13, 8; Gc 1, 27).

Tuttavia è nei riti liturgici che la chiesa attua in modo particolare tale incontro, per cui occorre esaminare brevemente come il cattolicesimo postconciliare abbia cercato di modificare la sua liturgia per renderla più accessibile all'uomo moderno e per favorire l'incontro con Dio.

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Un punto di ampio consenso è dato dalla presenza qualitativamente maggiore della Parola di Dio, il cui valore spirituale è immenso.

Massima è l'importanza della Sacra Scrittura nella celebrazione liturgica. Da essa infatti si attingono le letture da spiegare poi nell'omelia e i salmi da cantare; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preci, le orazioni e gli inni liturgici; da essa infine prendono significato le azioni e i gesti liturgici (Cost. Lit. n. 24).

Altri spunti, che possono essere più o meno accettabili, sono i seguenti:

1) Maggiore partecipazione di tutti i fedeli

Prima del Vaticano II nel culto liturgico i laici erano lasciati in disparte e ridotti al ruolo di spettatori puramente passivi. L'ufficio di leggere la Bibbia durante la Messa spettava al lettore, al suddiacono, al diacono oppure allo stesso prete funzionante. I laici non potevano pregare ufficialmente per gli altri né predicare al popolo. Il Codice di diritto canonico sanciva:

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La facoltà di predicare va conferita soltanto ai sacerdoti, non agli altri chierici, salvo che per motivo ragionevole e secondo il giudizio dell'ordinario, caso per caso (can. 1342 n. 1).

E nello stesso canone al paragrafo 2 si legge: «A tutti i laici, anche se religiosi, è proibito predicare in chiesa». Il Corpus Iuris da tempo aveva emanato la medesima disposizione:

Siccome alcuni laici si permettono di predicare con il pericolo che tale vizio si introduca furtivamente sotto parvenza di virtù, noi, in considerazione del fatto che la funzione di maestro nella Chiesa di Dio è per così dire la più nobile, così ordiniamo: Dal momento che il Signore ha ordinato alcuni apostoli, altri profeti, altri ancora maestri, tu devi proibire a tutti i laici, a qualsiasi ordine religioso appartengano, l'arbitrio di predicare (Decret. II, caus XVI, q. 19 e Decret. Gregor. IX, lib. V, tit VII De Haereticis cap. XIV (Gregorio IX al vescovo di Milano).

Il Concilio Vaticano II, valorizzando il sacerdozio dei fedeli, ha affermato che nelle azioni liturgiche « Dio parla al suo popolo (con la Bibbia) e il popolo gli risponde con il canto e la preghiera » (CL 39). Anche i fedeli concorrono alla celebrazione eucaristica offrendosi al Padre celeste in unione con il Cristo (ivi 48).

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Perciò oggi si permette ai laici (donne comprese in mancanza di un laico qualificato) di leggere i brani biblici della messa, ad eccezione del Vangelo sempre riservato al sacerdote. Gli uomini e le donne li possono leggere dall'altare, mentre poco fa le donne non potevano salire sul rialzo dove si eleva l'altare. Anche i laici possono pregare e rivolgere delle parole agli altri fedeli, presentando la propria esperienza, suggerendo i temi della preghiera e discutendo qualche brano della Bibbia. Ciò è conforme all'insegnamento biblico, perché al tempo apostolico tutti i credenti vi partecipavano attivamente; anzi lo sbaglio dei Corinzi stava nella brama eccessiva di voler primeggiare, parlare, agire, mentre oggi al contrario, vige un forte assenteismo dei fedeli nel culto, al quale bisogna porre riparo con una partecipazione sempre più attiva. L'odierno rinnovamento liturgico dei cattolici è sulla buona strada, anche se non ha ancora il coraggio di giungere alle conseguenze ultime: quello cioè di ridonare a tutti i fedeli quel potere sacerdotale che nel corso dei secoli si è andato restringendo ai vescovi, ai presbiteri e ai diacono, mentre nel tempo apostolico spettava indistintamente a tutti i battezzati in Cristo.

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2) Innovazioni per una partecipazione più attiva

Tra i cambiamenti liturgici tendenti a rendere più attivo il popolo, vanno ricordati i seguenti: uso della lingua parlata, adozione di usi folcloristici, snellimento dei riti liturgici.

a) Lingua parlata

Mentre in passato si esaltava il latino, perché nonostante fosse incomprensibile a molti, dimostrava l'unità della chiesa, che dovunque pregava con gli stessi riti e le identiche parole, ora al contrario si pone l'enfasi sulla necessità che il popolo comprenda quel che si dice e si compie. Occorre quindi che popolo canti e preghi nella lingua da lui parlata (CL 36). Non possiamo che fare nostra la parola di Paolo VI in quanto si accorda con quella dell'apostolo omonimo:

Vale di più l'intelligenza della preghiera, che non le vesti seriche e vetuste di cui essa s'è regolarmente vestita; vale di più la partecipazione del popolo, di questo popolo moderno saturo di parola chiara intelligibile, traducibile nella sua conversazione profana. Se il divo latino tenesse da noi segregata l'infanzia, la gioventù, il mondo del lavoro e degli affari, se fosse un diaframma opaco invece che un cristallo trasparente, noi, pescatori di anime, faremmo buon calcolo a conservargli l'esclusivo dominio della conversazione orante e religiosa? (Paolo VI, Discorso del 26-11-69; Oss. Rom. 27-11-69).

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Infatti l'apostolo Paolo sconsigliava alla chiesa di Corinto l'uso delle lingue incomprensibili, affinché vi fosse mutua edificazione e ognuno potesse far propria la preghiera rispondendo con il suo "Amen" di approvazione (1 Co 14, 15-19). Anche le prime liturgie usarono sempre la lingua parlata; se all'inizio la chiesa di Roma usava il greco, li si deve al fatto che tra i suoi membri si trovavano persone d'ogni contrada e che l'unica lingua comprensibile a tutti era il greco. Solo più tardi, verso la fine del III secolo, quando la maggioranza dei fedeli parlava latino, questa lingua fu usata nella liturgia. Tutte le liturgie orientali furono composte nelle lingue parlate dalle singole nazioni: greca, copta, etiopica, armena e arabica.

L'odierno cambiamento non ha però soddisfatto tutti, per cui, pur non giungendo alla opposizione ribelle del vescovo Lefebvre, si nota oggi da parte di alcuni cattolici anche vescovi – specialmente germanici – una nostalgia verso il latino che conferisce al rito liturgico un particolare senso misterioso, più consono, dicono costoro, al divino. Il latino è la chiave di un'intera civiltà, quella "occidentale". Secondo Ms. Galligani « la chiesa sta rivalutando l'uso del latino» (Oss. Rom. 9-12-74). L'idea del suo rilancio è partita dai vescovi della Germania che in una lettera al papa, hanno auspicato la conservazione della lingua latina nella liturgia. A Roma la richiesta è stata accolta con entusiasmo dai due latinisti ufficiali della chiesa, Ms Giuseppe del Ton e l'abate Carlo Egger. Una delle ragioni sta nel fatto che il latino è molto apprezzato anche nell'Unione Sovietica, dove è uscita una storia di Leningrado in un latino perfetto sullo stile di Giulio cesare. Secondo il cardinale ucraino Josef Slipyi « il latino è come una tastiera. E' uno dei legami che unisce i cristiani sparsi in tutto il mondo».

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b) Usi popolari

Il Concilio ha suggerito di accogliere nella liturgia usi popolari non superstiziosi come, ad esempio, gli elementi propri della iniziazioni nazionali « nella misura in cui essi possono venire adattati al rito cristiano » (CL 65, n. 37). Sono così sorte le messe beat con musica jazz, accompagnate da danze e da espressioni musicali, che non sempre si « armonizzano con la magnifica e venerabile tradizione ecclesiastica » e dimenticano che « musica e canto sono al servizio del culto e ad esso subordinati ». Personalmente sono restio a tali innovazioni in quanto sono convinto che la semplicità del culto originario si accorda, meglio di ogni altra espressione coreografica, scenica e musicale, allo spirito dell'uomo di tutti i tempi. L'esperienza del passato ci insegna che il desiderio di rendere il cristianesimo una religione di massa, ha finito col farvi accogliere al tempo della conversione forzata dei pagani ad opera di Teodosio, le immagini e il culto dei vari dei e semi-dei pagani, trasformandoli in santi e martiri cristiani ai quali talora si applicarono le stesse leggende pagane, L'iconografia cattolica non fece che ricopiare le immagini del tempo: Orfeo divenne il Buon Pastore; i templi pagani furono riconsacrati ai santi, per cui il Panteon dedicato a « tutti gli dei », secondo la etimologia del suo nome, fu consacrato a « tutti i santi ». In S. Maria di Leuca un'iscrizione posta all'ingresso nota che là, dove una volta si facevano offerte a Minerva, ora ci accettano doni a Maria. Di qui l'origine del culto delle reliquie, la preghiera ai santi, le messe a vantaggio dei morti per liberarli dal purgatorio, secondo l'uso pagano. di qui il desiderio di essere sepolti accanto alla tomba di qualche santo per goderne la protezione, uso che fu alla base dell'antica erezione di cimiteri presso i templi cristiani. Di qui il privilegio di re, nobili e vescovi di essere sepolti nelle stesse basiliche cristiane.

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Ma tutto ciò fu a scapito della purezza originaria del vangelo e divenne la base di tante superstizioni tuttora diffuse presso molta gente. E' quindi legittima un'ampia riserva a riguardo dell'odierna apertura verso usi amati dal pubblico: si accettino pure se si vuole, ma non come atti religiosi, bensì come consuetudini locali, che nulla hanno a che vedere con la religione.



c) Snellimento dei riti liturgici

Siccome le antiche presentazioni teatrali nella liturgia medievale riescono incomprensibili a sono lontani dalla spirito dell'uomo moderno, la chiesa cattolica, dopo aver semplificato i paramenti liturgici, ha creato nuovi riti più agili e più intelligibili con l'intento di stabilire un più immediato contatto con il popolo. Così nel nuovo rito battesimale sono stati eliminati alcuni gesti strani (saliva, sale, insufflazione), si è data più importanza all'istruzione mediante la Bibbia onde sviluppare la fede e si è suggerito di attendere per il battesimo il momento in cui anche la madre possa essere presente, affinché entrambi i genitori meglio comprendano l'obbligo che si assumono per l'educazione religiosa dei figli. Si è così reso il battesimo un atto della chiesa che accoglie i neo battezzati, partecipa alla loro gioia e se li sente fratelli e sorelle.

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Anche il nuovo rito della messa ha cercato di mettere in maggior rilievo il valore comunitario della celebrazione eucaristica, la maggiore partecipazione dei fedeli con il rito delle offerte, la percezione di una maggiore fraternità con il segno della pace affinché la celebrazione domenicale si presenti come rito di amore tra membri della stessa famiglia cristiana. Di qui la possibilità di far leggere brani biblici anche a uomini e donne, di prendere con le proprie mani il pane consacrato e, in certe circostanze, anche il vino, non più riservato esclusivamente ai sacerdoti. Di qui la libertà lasciata ai fratelli di suggerire i temi della preghiera comune prima dell'offerta e di fermarsi, se si vuole, qualche minuto dopo la messa per discutere un passo biblico o un problema di attualità. Spontaneità questa che dovrebbe rimuovere l'assenteismo del popolo da certe celebrazioni liturgiche moderne, ma che praticamente spesso è rimasto lettera morta.

Il cardinale di Napoli, Ugo Ursi, ha pure approvato per primo l'iniziativa delle messe domestiche, vale a dire celebrate in case private, quando non siano per pura devozione ma richieste da una particolare necessità. Queste messe, da distinguersi dalle "cene familiari" olandesi proibite dalla congregazione dei riti con un monito del cardinale Lercaro, non potranno realizzarsi per esibizionismo (come nel caso di un matrimonio o di un battesimo) bensì per aiutare un ammalato che non possa recarsi alla messa comunitaria, per nuclei familiari spiritualmente maturi i quali siano capaci di ben valutarne il senso.

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3) Fissità liturgica

Nonostante le innovazioni precedenti, che cercano di creare maggiore semplicità e più grande spontaneità, prevale ancor oggi la fissità liturgica, contro la libertà dei tempi apostolici. Basta dare uno sguardo, anche rapido, ai più recenti libri ufficiali liturgici per vedere come sia tolta ogni minima libertà e soffocata la libertà individuale.

Durante la Messa si fanno tre genuflessioni: dopo l'elevazione dell'ostia, dopo l'elevazione del calice e prima della comunione del sacerdote. Ma se nel presbiterio ci fosse il Tabernacolo con il SS. Sacramento, ci si genuflette anche prima e dopo la Messa e tutte le volte che qualcuno passa davanti al SS. Sacramento (Istruzione generale per la Nuova Messa).

Di recente si è sottolineato che il rito del "lavabo", o lavanda rituale delle mani prima delle offerte, è obbligatorio e non lasciato alla libertà individuale. Siccome la nuova costituzione parlava di "pane" che si potesse spezzare, una recente precisazione ha notato che non è permesso, come alcuni pensavano, usare del pane comune, sia pure azzimo, bensì solo un'ostia, anche se di formato più grande, di maggiore spessore e di colore più vicino a quello del pane.

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Le parole liturgiche (salvo rari casi) devono essere ripetute come sono, anche se sciatte e talora di una « piattezza che fa orripilare » (A. Barolini), anche se si diversificano da quelle bibliche. Così l'espressione « Il mio sangue che è versato per molti» (Mc 14, 24) è divenuto «per tutti » con la scusa che il "molti" nella Bibbia equivale a "tutti". Si tratta però di vedere se tale era davvero il senso inteso da Gesù. E' in fatto che il vocabolo "molti" era un termine tecnico per designare la comunità di Qumrân, nei cui testi ricorre almeno una trentina di volte; essa era costituita dai "molti" che si preparavano alla venuta dei Messia di Aronne e di Israele. Anche Matteo e Marco possono aver voluto indicare che solo per i veri discepoli di Gesù, membri della chiesa e costituenti la comunità dei salvati, il sangue di Cristo è stato efficacemente versato. Per questo al posto di "molti" Luca e Paolo hanno il "voi" che è appunto l'interpretazione biblica del "molti"; i molti sono infatti coloro che, avendo creduto al Cristo ne seguono i comandamenti (Lc 22, 20; 1 Co 11, 24). Lo stesso concetto si ritrova in Isaia dove il profeta dice del servo di Jahvé: «Il giusto mio giustificherà molti (non tutti), egli si addosserà le loro iniquità.
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12/05/2011 18:29

. Pertanto io gli darò in premio la moltitudine dei potenti, egli farà bottino Egli portò il peccato di molti e per gli scellerati intercedette» (Is 53, 11 s). E' evidente che qui il "molti" non equivale a tutti, poiché non tutti furono giustificati e tanto meno lo saranno quei potenti che egli saccheggerà. Quindi il "molti" dovrebbe essere un continuo richiamo alla conversione, perché, divenuto vero discepolo di Cristo, l'uomo possa godere dei suoi benefici.

Si veda quindi come la liturgia per la chiesa cattolica non sia mai un affare privato, ma dipenda da Roma. Paolo VI affermò che:

I riti e le formule liturgiche non devono essere considerati come un affare privato, che riguardi i singoli individui, o la parrocchia o qualche nazione; ma come qualcosa di pertinenza della Chiesa universale... Pertanto non è lecito ad alcuno di mutare tali formule, introdurne nuove, sostituire altre... la romanità è la causa della nostra cattolicità per cui occorre evitare un «eccessivo» e chiuso patriottismo... Giova perciò ricordare quella norma della Costituzione Liturgica, la quale stabilisce che l'ordinamento della sacra liturgia dipende unicamente dall'autorità della Chiesa (Discorso di Paolo VI al «Concilium» liturgico del 14-10-68; Oss. Rom. 16-10-68, p. 1).

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Secondo frasi cavillose di recenti studiosi, la liturgia ci lascia liberi vincolandosi, come deve esserlo ogni creatura. Dante è liberamente vincolato alla penna, Galileo al suo telescopio, Michelangelo alla volta della Sistina. La libertà cristiana, come ci sono di esempio i santi, è insieme ubbidienza; senza Dio « la libertà è una parola scritta nelle acqua del mare » (Giovanni XXIII, Discorso del 18 maggio 1959). La liturgia collabora perché la libertà non si frantumi in licenza.

Capisco come sia difficile, a chi non ne è abituato, formulare delle preghiere spontanee, tuttavia tale sforzo serve a formare la personalità ed a sviluppare l'abilità del credente. I primi cristiani non erano certo più colti dei moderni, eppure si riservavano ampia libertà di preghiera. evitando la ripetizione meccanica di formule preesistenti. Persino il Padre nostro è presentato in due forme di cui la più lunga e l'altra più breve, per mostrarci che nemmeno esso era una formula ripetuta mnemonicamente, ma solo un esempio su cui modellare le proprie preghiere spontanee.

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12/05/2011 18:30

A Corinto dominava una spontaneità fin troppo eccessiva, che Paolo non intende affatto soffocare, ma solo regolare (1 Co 14, 26). Non è con formule imposte, con gesti obbligatori, che si potrà rimediare all'assenteismo odierno, bensì lasciando ogni cosa alla spontaneità dei presenti, sia pure con il rispetto di un certo ordine (1 Co 14, 33).

Non mancavano, è vero, anche nel tempo apostolico, dei brani già fissi come appare da alcuni frammenti, forse cantati, riguardanti l'anàmnesis o "ricordo" della morte e resurrezione di Gesù nella cena del Signore (1 Co 15, 3-7) o la glorificazione del Cristo (Ef 1, 3-23; Fl 2, 6-11). Anche l'innegabile rapporto tra culto cristiano e culto sinagogale dovette produrre un certo ricalco di alcune preghiere cristiane su formule giudaiche da parte specialmente dei giudeo-cristiani.

Ma la liturgia paleocristiana lasciava molto spazio all'improvvisazione, anche nella cena del Signore. Così scriveva Giustino nel 150 ca.: «Il presidente pronuncia preghiere e rendimenti di grazie secondo le sue capacità e il popolo risponde con l'invocazione: Amen!». Ippolito, verso il 215, dopo aver presentato un esempio di preghiera per la chiesa romana, aggiunge:

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12/05/2011 18:30

Il vescovo rende grazie secondo quanto abbiamo detto. Comunque non è affatto necessario che usi le stesse parole, sforzandosi... di recitarle a memoria. Ognuno può pregare secondo la propria inventiva. E' bene se uno sa dire una preghiera lunga ed elevata; ma se uno prega e pronuncia una preghiera (non elevata), non bisogna zittirlo, a meno che la sua preghiera sia reprensibile e non ortodossa (Giustino, Apologia 1, 67; 5 PG 6, 429).

La Tradizione apostolica, attribuita ad Ippolito, non è dunque il formulario, ma uno dei formulari in uso nella chiesa di Roma solo per chi non sapesse esprimersi con preghiere personali.

Fu particolarmente dal IV al VI secolo che in Africa sorsero le prime codificazioni liturgiche con le disposizioni del Concilio di Ippona (a. 393), che furono poi ripetute nel Concilio di Cartagine del 397. Tuttavia l'improvvisazione sussisteva ancora, tant'è vero che Sidonio Apollinare, vescovo di Averna (Clermont-Ferrand) dal 470 al 480, essendo un giorno sprovvisto di libri, improvvisò una preghiera suscitando la meraviglia di tutti, perché ai presenti sembrò udire la voce di un angelo. La prima raccolta importante è il cosiddetto "sacramentario leoniano" (ms. di Verona), che però non è né un sacramentario né leoniano; essenzialmente esso costituisce una raccolta di libelli missarum. Nei secoli seguenti la liturgia romana, fissatasi a Roma, emigrò nei paesi franchi dove romanizzò sporadicamente i formulari liturgici locali o regionali, finendo con il provocare dei miscugli anarchici; questa liturgia ibrida francese-romana, specialmente sotto gli Ottoni (sec. X) refluì a Roma dove si fissò definitivamente.

Vari motivi introdussero tali cambiamenti: paura che l'eterodossia si infiltrasse nelle preghiere, desiderio che vi fosse uno stesso calendario in tutta la chiesa e l'importanza sempre più attribuita a Roma e alla sua liturgia. Sorse così la tendenza di affermare il primato pontificio con l'obbedienza delle chiese alla disciplina romana.

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4) Cristo e Santi

a) Cristocentrismo

Il nuovo calendario liturgico cerca di accentrare il culto nel Cristo, per cui appaiono in primo piano le festività riguardanti la vita di Gesù: natività, morte e resurrezione, alle quali si aggiunse la Pentecoste, che ricorda la discesa dello Spirito Santo, il continuatore dell'opera di Cristo. I santi – anche Maria – inseriti in questa visione cristocentrica, fanno da corona al Salvatore, illuminati come sono dalla sua luce e rivolti a lui in supplice preghiera di intercessione. Nella messa, ad esempio, la preghiera sulle offerte e quella dopo la comunione deve avere un rapporto diretto con il mistero e non con il santo del giorno; le orazioni ai santi devono essere costituite da poche parole, possibilmente tratte dalla loro stessa bocca, che ne mostrino la spiritualità. Nell'ufficio divino ogni giorno, assieme a una lettura sul santo celebrato tratta preferibilmente dai suoi scritti, vi deve essere anche una lettura biblica. Nel nuovo breviario si leggono brani che mostrano la brama d'evangelizzazione propria di Francesco Saverio, il modo di educare i giovani secondo il metodo di Giovanni Bosco, la dignità dei poveri descritta da Vincenzo de Paoli, l'ideale del monaco presentato da Benedetto.

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12/05/2011 18:30

I santi, celebrati da tutta la chiesa cattolica sono stati scelti fra i più rappresentativi di un determinato tipo di vita cristiana o di un dato secolo della vita ecclesiastica. Santi antichi, ora dimenticati, hanno ceduto il posto ad altri più recenti, come la martire della purezza Maria Goretti, la cui tomba è meta di continui pellegrinaggi. Altri santi, noti solo in qualche nazione, sono lasciati alla discrezione dei vescovi locali, che li possono accogliere o no: così Gennaro a Napoli, Nicola a Bari, Apollinare a Ravenna. Gli automobilisti continueranno a rivolgersi a S. Cristoforo, i militari a S. Barbara, gli scouts cattolici a S. Giorgio, i paracadutisti a S. Giuseppe da Copertino. Ogni sacerdote ha facoltà di celebrare la messa, quando le rubriche lo permettono, in onore di un salto qualsiasi purché contenuto nel martirologio. Anche se egli pregasse in tal modo un santo inesistente – continuano i teologi – non ne verrebbe alcun danno, poiché il culto dei santi tende in ultima analisi a glorificare Dio e ad ottenere un intercessore presso il mondo divino, per cui Dio saprebbe ugualmente ascoltare l'invocazione che gli si rivolge.

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b) Come creare i muovo santi?

Il processo di canonizzazione seguì la legislazione di Urbano VIII integrata da Benedetto XIV fino al 1969, quando Paolo VI volle aggiornarla. Tra le novità principali va ricordata l'unificazione dei due processi, prima indipendenti, presso il vescovo locale e presso la S. Sede; l'istituzione dei tribunali regionali, anziché episcopali, per eliminare la difficoltà di trovare nelle piccole diocesi le persone capaci di svolgere tale esame.

c) Valore dei santi

L'intonazione cristocentrica dell'odierno culto cattolico è un magnifico progresso; il presentare i santi come esempi di vita cristiana da imitare, è qualcosa di assai positivo e buono. Lo stesso apostolo Paolo così scriveva ai Cristiani di Corinto: «Vi supplico: siate miei imitatori! » (1 Co 4, 16). « Tutti assieme – scriveva a quei di Filippi – divenite miei imitatori, fratelli, e tenete lo sguardo rivolto a quelli che camminano in maniera conforme all'esempio che avete in noi » Fl 3, 17).
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Quei di Tessalonica sono divenuti « imitatori nostri », vale a dire di Paolo, Silvano e Timoteo, anzi imitatori nella sofferenza delle «chiese di Dio che sono nella Giudea » (1 Te 1, 6; 2, 14). Paolo raccomanda agli oziosi di Tessalonica di seguire il suo esempio: « Voi sapete in che modo dovete imitarci, perché noi non ci siamo comportati tra voi disordinatamente, né abbiamo mangiato il cibo di alcuno. Al contrario, con fatica e con lavoro penoso, giorno e notte abbiamo lavorato in modo di non essere di peso ad alcuno di voi » Paolo ha così agito per offrire loro « un esempio da imitare » (2 Te 3, 7 ss). Per eliminare la pigrizia spirituale l'autore della lettera agli Ebrei raccomanda di imitare « coloro che mediante la fede e la pazienza ereditano le promesse » (Eb 6, 12).

E' un fatto che le parole commuovono, ma gli esempi trascinano. Verba movent, exempla trahunt . Tuttavia l'imitazione altrui – suggerisce l'apostolo – non deve essere sconsiderata, ma compiuta con criterio, scegliendo tra le persone quelle che si sono comportate in armonia con Gesù: « Siate miei imitatori, così come anch'io lo sono di Cristo » (1 Co 11, 1). Ora non so se tutti i santi cattolici nel corso dei secoli con certe loro stravaganze (stiliti), con la fuga dal mondo, con certe loro devozioni, siano sempre stati "imitatori di Cristo". Per fortuna il nuovo calendario cattolico, facendo un taglio netto con certi santi del passato, presenta dei modelli più conformi alla vita odierna, ma questa conformità con la vita odierna non sempre equivale al modello di Cristo.

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Tuttavia i "santi" non sono presentati solo come esempio da imitare da parte di altri "santi", ossia di altri cristiani, ma anche come potenti intercessori, che si possono invocare per ottenere il loro appoggio presso Gesù Cristo e presso Dio. Sono intesi come credenti la cui buona condotta ha fatto loro acquistare dei meriti che vanno ad aggiungersi ai meriti di Cristo. Ora a me sembra – lo dico umilmente – che ciò non corrisponde all'insegnamento di Gesù e degli apostoli. Mai dal testo sacro appare il concetto che degli uomini – a qualsiasi grado gerarchico o spirituale appartengano – possano avere la possibilità di giudicare, durante la propria vita terrena, la spiritualità e la santità di altri uomini. Non per nulla Paolo raccomandava a quei di Corinto – e tramite loro anche a noi –: « Non giudicate mai nulla prima del tempo, fino a quando verrà il Signore, il quale porterà alla luce quel che è segreto e renderà manifesti i pensieri delle menti, e allora ciascuno riceverà la sua lode a da Dio » (1 Co 4, 5). Il giudicare oggi « uno più santo di un altro» non è un precorrere il giudizio di Dio?

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