LA CONVERSIONE DI SAULO

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Sacerdozio..e ministeri..

Ultimo Aggiornamento: 12/05/2011 18:57
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12/05/2011 18:39

Con il consenso di tutti [i vescovi] gli impongano le mani e il collegio dei presbiteri vi assista in silenzio... Uno dei vescovi presenti, a richiesta di tutti, imponga le mani a colui che viene ordinato vescovo (can. 2). La formula della preghiera era la seguente: «Tu, o Padre, che conosci i cuori accorda al tuo servitore, da te eletto all'episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di compiere l'ufficio di sommo sacerdote verso di te (archieratéuein soi) servendoti (leitourgùnta) puramente giorno e notte. Che egli renda propizio (hilàskesthai) il tuo volto e offra dono per la tua santa Chiesa; abbia potere di rimettere i peccati in virtù dello Spirito del sommo sacerdote... sciolga ogni legame... (Ippolito di Roma, la tradition apostolique ed. deB. Botte, Münster 1966, 3, 29).

Anche i presbitero veniva ordinato con l'imposizione della mano episcopale e con il concorso dei suoi colleghi presbiteri:

Quando si ordina un prete, il vescovo imponga la mano sul capo, mentre lo toccano anche i preti, e dica parole simili a quelle sopra indicate (can. 8).

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Tuttavia i preti con tale gesto non ordinano il prete « perché i preti hanno il potere di ricevere lo Spirito Santo, non di darlo». Con l'imposizione delle mani essi esprimono solo « la propria approvazione » e la volontà di accogliere il neo ordinato nel gruppo dei presbiteri (can. 9).

Il diacono invece, che in modo particolare è legato al vescovo, sarà ordinato con la sola imposizione delle mani del vescovo, senza che i presbiteri compiano alcuna azione:

Noi comandiamo che nell'ordinazione del diacono il solo vescovo imponga le mani, perché egli non è ordinato al sacerdozio, ma al servizio del vescovo, per fare ciò che egli ordina (can. 9).

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In un arco che abbraccia il periodo tra l'inizio del III secolo e la fine del V o al principio del VI, tante testimonianze concordano nell'attribuire al vescovo un dono affatto singolare dello Spirito, conferitogli mediante l'ordinazione, che lo costituisce in una posizione preminente. Una delle più alte espressioni di questa sua superiorità sta nel potere di ordinare i presbiteri e di consacrare i vescovi.

Il canone 4 del Concilio di Nicea, a cui si ricollegano i can. 19 e 23 di un Concilio di Antiochia di data incerta, prescrive che l'ordinazione di un vescovo sia compiuta da tutti i vescovi di una provincia con un minimo di tre.

Nelle province occidentali (...) le decisioni del concilio niceno, relative alle ordinazioni, vengono messe in atto e più volte richiamate neo concili o nei documenti dei papi (...). Non si può però negare, almeno in alcuni casi, il prevalere di una certa tendenza ad accertare l'esercizio di un'autorità di scelta e di decisione (L. Mortari, o.c. p. 119).

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b) Unzione dell'ordinato (secoli VIII-IX)

All'inizio dell'VIII secolo si introdusse l'unzione del neo-ordinato e si legittimò tale innovazione ricorrendo alla consacrazione di Aronne: « Ungerai le loro mani e conferirai loro il potere sacerdotale » (Es 28, 41; Nm 3, 3).

c) Conferimento dei vasi sacri (secoli IX-XIX)

In armonia con il sistema teutonico, nel quale una dignità si donava mediante il conferimento dell'insegna distintiva, si è creduto che anche l'ordinazione sacra avvenisse mediante il conferimento degli strumenti sacri (anche se l'unzione non scomparve) che il consacrato era abilitato a usare. Ce ne fa fede Eugenio IV in un documento emanato per favorire l'unione degli Armeni con la chiesa cattolica, il quale esigeva da loro la seguente professione di fede:

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Il sesto sacramento è quello dell'Ordine la cui materia è costituita dal conferimento di ciò con cui si attua l'Ordine: così il presbiterato si dona tramite il conferimento del calice con il vino e della patena contenente il pane. Il diaconato si dona con la consegna dei libri dei Vangeli. Il suddiaconato è costituito dalla consegna al consacrando di un calice vuoto con sopra la patena pur essa vuota [Eugenio IV (1431-1447), Decreto per gli Armeni del 22 novembre 1439, Denz. Sch. 1326].

Questo rito, accresciuto notevolmente grazie agli apporti gallicani secondo i quali bisognava toccare il calice contenente un po' di vino e la patena con l'ostia, sottolineò di più, in sintonia con l'avvenuta evoluzione del sacerdozio ministeriale, la sua funzione prettamente sacrificale, lasciando nell'ombra l'antico rito dell'imposizione delle mani da parte del vescovo e del presbiterio mentre si invocava lo Spirito Santo. Il rito primitivo aveva infatti il merito di mettere maggiormente in rilievo la missione profetica del nuovo popolo di Dio, alla quale il presbitero voleva dedicare tutta intera la propria vita.

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d) Imposizione delle mani (XX secolo)

In quest'ultimo secolo i teologi tornarono a riporre in primo piano l'imposizione delle mani da parte del vescovo, relegando al secondo posto il conferimento degli strumenti che apparve nella storia della chiesa solo tardivamente. Questo ritorno alla tradizione più antica fu sostenuto proprio da un altro Eugenio (Pacelli) divenuto papa con il nome di Pio XII e ribadita nei nuovi riti dell'ordinazione sacerdotale approvati da Paolo VI.

4) problemi aperti

In campo cattolico sussistono tuttora dei problemi che non hanno ancora ricevuto una soluzione comune o che sono soggetti a crisi. Prescindendo dalla discussione sull'ordinazione delle donne – che inizia ad affiorare presso i cattolici – ricordo quelli del carattere sacerdotale e del rapporto tra presbiterato ed episcopato.

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12/05/2011 18:41

a) Il carattere sacerdotale

Il Vaticano secondo con l'usuale pesantezza di forma ha affermato che

il sacerdozio... viene conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù dell'unzione dello Spirito Santo, sono marcati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, per il quale possono agire in nome di Cristo, capo della Chiesa (Presbyterorum ordinis n. 3).

Data l'esistenza di questo «carattere » incancellabile, ne deriva che nemmeno con la deposizione e la scomunica un sacerdote può ridivenire laico (sacerdos semper sacerdos) e che un sacerdote, fosse pure scomunicato, deposto e apostata, se vuole svolgere nel debito modo gli atti propri della sua dignità episcopale o sacerdotale, compie degli atti illeciti, ma pur sempre validi, che non possono venire annullati. E' noto il caso recente di un monsignore romano che apostatò dalla chiesa cattolica, fu consacrato a Parigi da vescovi della Vecchia chiesa cattolica riconosciuti validamente consacrati da Roma, funzionò presso di loro per alcuni anni da vescovo per l'Italia e poi, tornato in seno alla chiesa cattolica, vi fu accolto come vescovo e non solo come monsignore, perché il suo carattere episcopale indelebile, non poteva essere dichiarato nullo da un atto posteriore. Tuttavia tale idea si affermò solo gradualmente nel corso dei secoli.

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b) Primi undici secoli

Seguo il recente documentatissimo studio storico di C. Vogel che mi sembra ben più attendibile di tutte le altre esercitazioni dommatiche, il quale sostiene che la dottrina del Concilio di Trento, ripetuta dal Vaticano II è in antitesi con quella sostenuta nel primo millennio dalla chiesa cattolica. In questo primo periodo la deposizione rimette il clero nel rango dei laici; il presbitero ridiviene laico come lo era prima della imposizione delle mani (cheirotonìa) e cessa semplicemente e totalmente d'essere prete. Dunque in tal caso non si può parlare di un carattere indelebile.

Inoltre il vescovo o il presbitero validamente ordinato quando è deposto o scomunicato, quando diviene eretico o scismatico,, quando rimane senza una sua propria chiesa (clericus vagus), perde il potere di compiere validamente (e non solo lecitamente) gli atti sacri caratteristici del suo ordine. Le ordinazioni da lui conferite sono prive di valore; sono nulle e non soltanto illecite, come si pensa oggi. In tale situazione è evidente che non si può parlare di un carattere episcopale o presbiteriale indelebile.

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L'unico che ha parlato di «carattere del Signore » (character dominicus), di « segno » (signaculum) e di « sacramento » (sacramentum) per il sacerdozio, fu Agostino, e con esso voleva denotare un'impronta, un marchi simile portato dal soldati o che viene impresso sulle monete e sulla lana delle pecore. per opporsi ai Donatisti, che volevano ribattezzare e riordinare quelli che non lo erano stati da loro, Agostino sostiene che le ordinazioni (e i battesimi) imprimono un carattere che le rende irripetibili, tuttavia siccome solo la vera chiesa può dare la grazia, esse rimangono prive di efficacia spirituale sino all'ingresso del battezzato o dell'ordinato nella vera chiesa: solo in quel momento i sacramenti, che sono santi per se stessi ma non per gli uomini posti fuori dalla chiesa (per ipsa sancta, non per homines), diventano « salutari » (valent ad salutem).

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Tuttavia questa dottrina non ebbe seguito; per otto secoli nella chiesa latina e in quella greca non fu mai accolta. Papa Anastasio (m. 498) volle utilizzarla in occasione degli scismatici acaciani, ma vi perdette parte della sua reputazione. I rari emuli di Anastasio (e di Agostino) furono sempre combattuti da validi oppositori. Ancora Graziano (canonista del XII secolo) giudicava assai severamente Anastasio II quando, parlando della sua decisione, affermò che un « tale modo di agire è contrario ai canoni, anzi è in contraddizione con i decreti emanati dai suoi predecessori e successori... Per tale motivo Anastasio fu respinto dalla chiesa romana e colpito da Dio, come sta scritto nel Pontificale romano » (Graziano, Dicta nel commento al suo « Decreto » 1140/1142 p.c. 96, Friedberg I:, 392). Lo scandaloso processo a papa Formoso (896-897) per confermare in modo così macabro la scomunica dell'a. 876 pronunziata contro di lui da Giovanni VIII mentre egli era ancora vescovo di Porto, annullò automaticamente tutti gli atti pontificali ordinazioni e consacrazioni comprese. E' vero che in alcuni casi furono accolti nella chiesa gli atti compiuti da vescovi e da sacerdoti scomunicati, ma ciò avvenne non in virtù del carattere perpetuo sostenuto da Agostino, bensì in forza della «economia», vale a dire del potere dispensatore della chiesa in casi di particolare gravità e per un bene superiore.

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c) Dalla fine del XII secolo

L'oriente continuò a seguire la precedente dottrina non agostiniana, che riconosce valide le ordinazioni non solo per il rito compiuto, ma anche per un insieme di altre circostanze che le accompagnano. Di conseguenza gli ortodossi non ritengono valide le ordinazioni anglicane, perché attuate fuori della vera chiesa, mentre i latini le accolgono come valide in virtù dell'automatismo sacramentale: retta formula e rito giusto realizzati da parte di ministri ordinati.

In occidente invece, nel XII secolo, avvenne un cambiamento di concezione, in quanto il carattere sacerdotale sostenuto da Agostino, ma trascurato per lungo tempo dalla tradizione cattolica, venne ripreso e sviluppato dai teologi sino a divenire dottrina comune. Così per Ugo sa S. Vittore (verso il 1140) «il ministro simoniaco (od eretico) per il fatto che è stato ordinato, nonostante la sua indegnità, rimane pur sempre vero ministro (minister malus et tamen minister est). Egli riceve l'ordine e la funzione a sua propria rovina e perdizione » (De sacramentis 2 PL 176, 479). Secondo Pietro Lombardo (m. 1160)
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12/05/2011 18:41

l'ordinazione è « un segno con il quale si dona un potere, un carattere spirituale, un aumento di potestà » consistente nel poter « dare cose sacre » (sacerdos sacrum dans), nel rendere presente Cristo nell'eucarestia e nel benedire le cose sacre. L'ordinazione fu quindi concepita come il conferimento di un carattere (ossia di un accidens physicum) che abilita l'uomo a compiere l'atto sacro per eccellenza, vale a dire il sacrificio della Messa.. Per Tommaso d'Aquino l'ordinazione è una « consacrazione interiore » che « deputa un cristiano a qualcosa di sacro », ossia a « tutto ciò che riguarda il culto divino », perché il sacramento dell'ordine « prepara alla consacrazione eucaristica ». Mediante questo sacramento gli uomini sono abilitati a conferire gli altri sacramenti.

Nella sacra ordinazione – afferma il Concilio di Trento – viene impresso un « segno spirituale indelebile», per il quale il sacerdote non può più tornare laico, ma detiene una potestà, il cui compito risiede nel consacrare l'eucarestia e nel perdonare i peccati:

Il sacrificio e il sacerdozio per ordinazione divina sono così uniti che ambedue sono esistiti sotto ogni legge... La Sacra Bibbia mostra e la tradizione della Chiesa cattolica sempre insegnò che (il sacerdozio) è stato istituito dallo stesso Signore Salvatore nostro, e che è stato affidato agli apostoli e ai loro successori nel sacerdozio il potere di consacrare e amministrare il suo corpo e il suo sangue e anche di perdonare i peccati (Sess. 23 De sacramento ordinis can 1 Denz. Sch 1764).

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12/05/2011 18:42

d) Discussione moderna sul carattere sacerdotale

La precedente dottrina del Concilio di Trento fu ripetuta dal Vaticano II e da Paolo VI.

Il sacerdozio – afferma il Vaticano II – viene conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù dell'unzione dello Spirito Santo, sono marcati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo, Capo della Chiesa (Decreto Ministero e vita sacerdotale can. 1c, ed. Massimo, p. 268 s).
Non dubitate mai della natura del vostro sacerdozio ministeriale – soggiunge Paolo VI – esso non è un ufficio o un servizio qualsiasi da esercitarsi per la comunità ecclesiale, ma un servizio che partecipa in modo tutto particolare, mediante il sacramento dell'ordine e con un carattere indelebile, alla potestà del sacerdozio di Cristo (Messaggi di Paolo VI ai sacerdoti alla chiusura dell'anno di Fede).

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Ma nonostante queste affermazioni il carattere sacerdotale continua ad essere posto in crisi. C. Vogel, a conclusione di un suo lungo studio storico dei primi dodici secoli della chiesa, afferma:

Ciò che l'autorità ecclesiastica attua per punire (riduzione allo stato laico) potrebbe farlo, sembra, anche per altri fini. Basterebbe per arrivarci la dottrina scolastica sul carattere indelebile ed eliminare l'ostacolo costituito su questo punto dal Concilio di Trento (C. Vogel, Laica Communione contentus a.c. p. 121).

Altri autori, senza giungere alla totale eliminazione del carattere sacerdotale, cercano di dargli un senso diverso da quello tradizionale: per A.M. Pompei, ad esempio, consisterebbe in « una deputazione » per la quale un battezzato può presentarsi nella persona di cristo come capo della chiesa nella dimensione della visibilità storica di questa. Secondo E. Ruffini, l'ordine lega il cristiano al culto comunitario, per cui anche se il sacerdote rinnegasse il proprio impegno sacerdotale, rimarrebbe pur sempre essenzialmente legato alla chiesa. G. Gozzelino, in un tentativo poco felice, sostiene che « il carattere è la situazione definitiva in cui il soggetto, in forza dell'ordinazione... diviene segno...del Cristo Capo... ed è posto al servizio della chiesa ». J. Galot, in una lucida esposizione, considera il carattere sacerdotale una consacrazione a Dio
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12/05/2011 18:42

e una partecipazione alla missione salvifica del mondo attuata dal Cristo. Secondo il Rambaldi, il ministero sacerdotale è un dono (carisma) offerto dallo Spirito Santo, che stabilisce nella chiesa alcuni membri qualificati per mezzo dei quali Cristo santifica, istruisce, guida il popolo di Dio.

Colui che meglio si accosta al pensiero biblico è l'esegeta cattolico P. Dacquino il quale, – negando ogni trasformazione ontologica dell'individuo – propone di definire i sacerdoti:

nuovo popolo di Dio, impegnati a collaborare... al disegno divino... Siamo quindi lontani dalla trasformazione arcana, subita dall'anima stessa del prete cristiano (durante la consacrazione) affermata da recenti tendenze teologiche appunto quale esigenza del suo sacerdozio e dei misteriosi poteri corrispondenti. Questa pretesa trasformazione, che corrisponde a quella certa superesaltazione del sacerdozio ministeriale, è rimasta logicamente ignota alla tradizione apostolica e a quella di molti secoli seguenti.

Per questo autore, il carattere sacerdotale non è qualcosa di ontologico che trasformi l'anima dell'individuo, ma consiste nella non reiterabilità dell'ordine sacerdotale (così come affermano i concili Fiorentino e Tridentino), corrispondente al fatto che la vocazione profetica ancora oggi – come lo era per i profeti veterotestamentari – è da parte di Dio irrevocabile e viene arricchita dal corrispondente dono dello Spirito Santo.

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12/05/2011 18:42

e) Sacerdozio speciale del vescovo?

Oggi i teologi cattolici discutono se l'ordinazione episcopale sia un sacramento distinto e superiore a quello sacerdotale. Storicamente parlando, verso la fine del IV secolo, sotto il pontificato di Damaso, alcuni diaconi del clero romano, rifiutarono ubbidienza ai presbiteri. Girolamo, per convincerli a ritornare a migliori propositi, sostenne con la Bibbia alla mano che il presbitero è uguale al vescovo, pur essendogli sottoposto solo per la dignità dell'onore « il presbitero è anche vescovo... E' solo per la consuetudine più che per disposizione del Signore che i vescovi sono maggiori dei presbiteri ». Questa dottrina si trasmise a molti teologi posteriori ed ebbe grande influsso nel pensiero teologico successivo. In quasi tutta la teologia medievale, compreso Tommaso d'Aquino, « il ministero fu visto come sacerdozio; il sacerdozio come liturgia e rito; il rito come prodotto da arcani poteri clericali; il chierico come una cosa sacra e come l'unica realtà attiva della chiesa »

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Perciò a partire dal XII secolo si pensò che l'ordinazione presbiteriale donasse il potere di compiere tutto ciò, che fa il vescovo, per cui la consacrazione episcopale ne fu alquanto declassata; se ne negò il carattere sacramentale (Pier Lombardo) o la si ridusse a un semplice potere gerarchico « sul corpo mistico » (Tommaso). Il presbiterato è quindi il sacerdozio per eccellenza, che, per privilegio papale, può anche ordinare altri sacerdoti. Ancora al Concilio di Trento nella sessione XXIII i vescovi definirono la sacramentalità dell'ordine, avendo soprattutto in vita il presbiterato.

Non mancarono tuttavia, specialmente tra i canonisti, i fautori del carattere sacramentale della consacrazione episcopale, la quale, di conseguenza conferisce ai vescovi un sacerdozio di grado superiore a quello dei presbiteri. Dopo il Concilio di Trento questa tesi, per opera specialmente del card. Roberto Bellarmino, andò sempre più imponendosi nella teologia recente, sì da divenire comune: il vescovo ha la pienezza del sacerdozio, alla quale partecipano in modo minore i presbiteri e i diaconi.

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12/05/2011 18:43

Ai nostri giorni la questione si è riacutizzata e molti teologi vorrebbero tornare all'idea che l'episcopato sia soltanto una dignità gerarchica duratura, una giurisdizione ricevuta dal papa, un rito simile alla benedizione dell'abate in un monastero, che perciò non conferisce alcun potere sacerdotale, superiore a quello del prete.

Le ragioni addotte da questi teologi sono diverse: storiche e speculative. Le recenti indagini storiche hanno accertato che Ignazio di Antiochia è il primo tra i padri sub-apostolici a distinguere tra i presbiteri e vescovi, mentre da altri documenti contemporanei (e anche nella Bibbia) appaiono i due soli gruppi di presbiteri-vescovi e diaconi. Nella prima lettera di Clemente e nel Pastore di Erma i termini «vescovi » e «presbiteri » appaiono ancora come semplici sinonimi secondo l'uso biblico; nella seconda Clemente sono nominato solo i presbiteri, nella Didaché solo i vescovi e i diaconi. Girolamo attesta – come abbiamo già visto – che ogni presbitero è anche vescovo e ricorda che in Alessandria «da Marco evangelista sino ai vescovi Eraclea (+ 247) e Dionisio (+ 264) i presbiteri sceglievano uno di loro e lo nominavano vescovo, elevandolo così al di sopra di loro.

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12/05/2011 18:43

Nel corso dei secoli vediamo che il presbitero compie, quale ministro straordinario, molti riti di cui il vescovo è ministro ordinario (quindi ha lo stesso potere del vescovo); ancor oggi il prete, per un indulto concesso il 14 settembre 1946, può amministrare la cresima, riservata ugualmente al vescovo. Il papa Bonifacio IX nel 1400, con la bolla Sacrae Religionis, ha conferito all'abate del monastero «degli apostoli Pietro e Paolo e di S. Osita» la facoltà di dare ai suoi monaci « gli ordini minori, il suddiaconato, il diaconato e il presbiterato ». Tale privilegio fu poi ritirato nel 1403, non perché invalido, ma perché menomava il diritto di patronato sul monastero da parte del vescovo di Londra. Nel 1427 papa Martino V, con la bolla Gerentes vos , dava all'abate Cistercense di Citeau, e ad altri quattro abati, la facoltà di conferire il diaconato; e che continuò fino al XVIII secolo, senza alcuna protesta da parte dei vescovi.

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Anche il Concilio di Trento, – dicono costoro – parlando della superiorità episcopale sui presbiteri, afferma sì una dignità diversa, ma non dice affatto che tale preminenza sia dovuta all'ordine sacramentale. Sacerdozio e sacrificio sono tra loro collegati; ora il sacrificio del nuovo patto è l'eucarestia verso la quale il vescovo non ha alcun potere superiore a quello sacerdotale. La consacrazione episcopale non può quindi essere un sacramento e non dona un carattere superiore a quello sacerdotale.

Nonostante le osservazioni precedenti, si continua da parte della maggioranza cattolica a ritenere che il sacramento dell'ordine risieda propriamente nel vescovo e che gli dono il potere di consacrare altri vescovi (CC 21); ad esso partecipano in grado minore i presbiteri e i diaconi. Siccome la ricerca storica moderna ha messo in luce il fatto che, biblicamente parlando, non vi è distinzione tra presbiteri (= anziani) e vescovi, i quali sono termini tra loro intercambiabili, la costituzione della chiesa, emanata dal Vaticano II, si accontenta di dire che « il ministero ecclesiastico si ripartì sin dall'antichità » (quindi non necessariamente al tempo apostolico) in « vescovi, sacerdoti e diaconi». Siamo ben lungi dal tempo in cui si scomunicavano coloro che non riconoscevano « d'istituzione divina » la triplice gerarchia di « vescovi, presbiteri e diaconi ». Tutte le discussioni precedenti sono sorte solo dal fatto che si è voluto giustificare le novità della tradizione, che non hanno alcun fondamento biblico.

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