LA CONVERSIONE DI SAULO

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Riflessioni su GENESI

Ultimo Aggiornamento: 11/05/2011 18:40
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Ecco che allora noi capiamo meglio perché viene messo in gioco il serpente e non un altro animale. Voi sapete che poi la stessa Bibbia rilegge questa vicenda e rilegge la figura del serpente come la figura del Dragone, del Serpente, con le maiuscole. Ma questo non ci deve far dimenticare la connotazione immediata del racconto, la scelta di un serpente che, in fondo, è solo un animale, un serpente con la esse minuscola, anzi, visti i serpenti che si trovano in terra di Israele è un serpentello fondamentalmente. Però portatore di questa insidia che lo rende particolarmente pericoloso anche se in modo diverso da un altro animale che può fare più paura e che è ancora più pericoloso come un leone. Il leone ha delle capacità aggressive incredibili, certamente maggiori di quelle del serpente, che fondamentalmente non attacca, tende a scappare. Il leone ti divora, il serpente può morderti, ma puoi evitarlo più facilmente, il leone è molto veloce e forte. Il serpente non è veloce, è veloce nello scatto, ma un uomo corre più veloce di un serpente. Il serpente non ha forza, visto che si tratta di serpentelli. Non dobbiamo immaginare i serpenti brasiliani, gli anaconda, ma serpenti piccoli. Solo che del leone tu ti accorgi e del serpente no.
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Ecco l’insidia, ed ecco perché qui non è un leone o un lupo che parla con la donna nel giardino, perché il serpente è quello che descrive Amos in modo grandioso, in Am 5,18. Si sta parlando del giorno del Signore, qualcosa di terribile, davanti a cui si è completamente indifesi. Amos per far capire questo dice:

E’ come quando uno fugge davanti al leone e si imbatte in un orso, entra in casa, appoggia la mano sul muro e il serpente lo morde.

La scena è questa: stai camminando e incontri un leone, ti metti a scappare inseguito dal leone in preda al terrore. E quando sei riuscito a metterti in salvo dal leone ecco che trovi un orso! Diciamo che si tratta di una persona sfortunata! I nostri ragazzi direbbero in altro modo... Sei riuscito a scappare dal leone e ti trovi davanti ad un orso. Cerchi di salvarti e corri per entrare in casa. Ti sei messo in salvo dal leone, ti sei messo in salvo dall’orso, arrivi finalmente a casa. Chiudi la porta e dici: “E’ fatta! Mi appoggio un attimo perché non ne posso più”. E il serpente ti prende. Perché quando vedi il leone e l’orso ti difendi, fuggi, quando sei davanti ad un serpente sei nell’impossibilità di metterti sulla difensiva perché il serpente non lo vedi, perché sta dove non te lo aspetti e perché ti morde proprio quando tu, credendoti al sicuro, hai abbassato ogni difesa. Ecco il concetto di serpente ed ecco il concetto di insidia, di astuzia.
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Senza volere fare dello psicologismo, questo capitolo 3 va letto fin dal primo versetto come un testo che va alla ricerca di alcune coordinate di riferimento per capire come funziona la tentazione, cioè come comincia, come ti ingabbia, che tipo di reazione provoca in te. Fin dall’inizio il testo ci dice che quando siamo davanti alla tentazione siamo davanti a qualcosa che non riusciamo a riconoscere come immediatamente pericoloso. Perché è come il serpente che ti morde quando non te lo aspetti e si presenta come il serpentello innocuo che non ti fa neppure le domanda che ti metterebbe sulla difensiva, ma si mette a chiacchierare con te del più e del meno per portarti dove vuole andare lui. Allora davanti a questo inizio di chiacchierata del serpente, la donna entra in dialogo.
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Dicevamo che la formulazione del serpente butta là con noncuranza una menzogna totale su Dio. Dice: “Beh, ecco Dio ha detto: Non mangerete di nessun albero del giardino”. Detto così è lo stravolgimento totale di quello che ha detto Dio, il quale invece ha detto esattamente il contrario: "Di tutti gli alberi del giardino potete mangiare, ma non di quello della conoscenza del bene e del male”. Tradotto in italiano diventa evidente che il serpente sta mentendo. In ebraico è diverso. E’ difficile renderlo in modo efficace. “Tutto”, “tutti”, “ogni”, questi aggettivi in ebraico si dicono con una parola che è kol. Quando io dico “kol libro” posso intendere “tutto il libro” oppure “ogni libro”, a seconda se metto l’articolo o no. Ma ci sono dei casi in cui l’articolo potrebbe esserci o meno. Allora questa parola ebraica kol, a seconda se poi l’oggetto a cui si riferisce ha o no l’articolo, può significare tutto il libro o ogni libro. Proprio come in italiano, l’articolo fa la differenza. Ma siccome in italiano l’articolo si può mettere sempre, ma in ebraico ci sono dei casi in cui anche se ci potrebbe essere l’articolo tu puoi non metterlo, ecco che tu hai questo kol che non sai se vuol dire tutto, o tutti, o ognuno.
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Quando Dio dà il suo comando all’uomo dice: “di ogni albero del giardino”. Però potrei tradurre anche “di tutti gli alberi del giardino”. Quindi Dio sta dicendo: “di ogni albero potete mangiare” oppure “di tutti gli alberi del giardino potete mangiare”. In un caso o nell’altro il significato non cambia.

Se però io faccio come il serpente e davanti a questa frase metto un “non”, allora le cose cambiano completamente. Perché la frase diventa: "Non mangerete di ogni albero del giardino", e questo potrebbe voler dire che potete mangiarne tanti, ma non di ogni albero. Può essere: "Non mangerete di tutti gli alberi del giardino", nel senso che ne mangiate di quasi tutti. Ma se c’è quel “non” davanti può anche essere: "Non mangerete di nessun albero del giardino". Perché il kol che vuol dire “tutto” viene negato dal “non” e “non tutto”, per noi, diventa “nessuno”.
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Facciamo una sintesi. Quando Dio dice: voi potete mangiare di ogni albero o di tutti gli alberi, la frase ha un solo senso: “Potete mangiare quello che vi pare”. Quando invece questa frase viene negata, quando l’atto del mangiare viene negato, il senso non è più univoco, diventa equivoco. Perché può essere che io neghi il fatto che voi potete mangiare di tutti gli alberi tranne alcuni, ma può anche essere che la frase significhi che non potete mangiarne nessuno. La frase del serpente allora non è una domanda, quindi uno la prende alla leggera. E’ formulata dicendo il contrario di quello che ha detto Dio, però lo dice ridicendo quello che ha detto Dio solo aggiungendo un piccolo non. E questo piccolo non fa sì che la frase che il serpente dice sia equivoca. Per cui tu puoi capire che lui sta negando totalmente quello che ha detto Dio, ma puoi anche capire che lui sta dicendo che in fondo no, "potete mangiare quasi di tutto, non di tutto" e che quindi ancora una volta ci si possa mantenere ad un livello di innocuità.

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Cerco di far vedere come il testo gioca su delle piccolezze perché colui che legge capisca che il serpente è astuto. Quando la donna, davanti a questo discorso del serpente, che sembra variare solo di poco il discorso di Dio, che oltretutto non è neanche chiaro, che non impegna con una risposta precisa, reagisce dicendo:

E disse la donna al serpente:
“Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che è in mezzo al giardino, Dio ha detto: Non ne mangerete e non lo toccherete altrimenti morirete”.

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La donna risponde – sembra - ristabilendo la verità. Solo che tu ti accorgi solo quando è troppo tardi che il serpente ti ha morso. Qui si vede che l’astuzia del serpente ha cominciato a fare effetto. Il che, tradotto in termini spirituali, vorrebbe dire che quando sei alle prese con la tentazione, tu non te ne accorgi; poi, quando anche cominci ad accorgertene, fai in modo di autoconvincerti che, in fondo, a parlare con il serpente non c’è proprio niente di male e che non sta dicendo neanche cose tanto sbagliate. Quindi tu puoi andare nella linea del serpente ed illuderti di star resistendo a certe prospettive sbagliate e invece senza accorgertene piano piano finisci col dire proprio quello che il serpente voleva farti dire. Perché la donna risponde apparentemente bene, probabilmente autoilludendosi di rispondere bene, ma invece è ormai pienamente nella linea del serpente.
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Per tre motivi fondamentali. Innanzitutto - ci avete fatto caso? - sparisce il termine tutti o ogni dalla risposta della donna. La donna non risponde: “No, di tutti gli alberi del giardino noi possiamo mangiare!”, perché è questo quello che aveva detto Dio (kol, di ogni albero o di tutti gli alberi). Lei dice solo: “Del frutto degli alberi del giardino noi possiamo mangiare”. E già quindi c’è un tutti di meno. Come se la donna cominciasse a non vedere più l’assoluta gratuità, magnanimità di Dio - tutti gli alberi, tutto è vostro! - ora non sono più tutti gli alberi, ma solo il frutto degli alberi. Tra l’altro “alberi” è detto al singolare perché si usa un collettivo per cui sembra ancora di meno: “il frutto dell’albero”.
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Poi dice che dell’albero proibito Dio ha detto: “Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare”. E Dio non ha detto di non toccarlo. E perché è grave invece che lo dica la donna? Perché la donna dicendolo, senza volerlo, sta confessando di non capire più il senso del comando di Dio. Vi ricordate perché? Il senso del comando di Dio era: tu non puoi mangiare di quell’albero lì perché quello è per conoscere tutto, è proprio solo di Dio. E quindi tu non lo puoi mangiare. E questo è ragionevole. Anzi è bello che Dio me lo dica, perché mi indica il cammino della mia verità. Ma se io non capisco più questo, mi trovo davanti ad un comando di Dio di cui io non capisco più il motivo o il senso, e davanti a cui quindi io non riesco più a percepire il fatto che quel comando è un comando buono e che Dio me lo dà perché mi vuole bene. Se mi trovo davanti ad un comando di cui non capisco il senso, posso solo avere la percezione che mi hanno detto di fare una cosa e a me tocca di farla. Ma non so perché, non so il motivo che c’è sotto e quindi non so neppure se mi dicono di farla tanto per farla, se mi dicono di farla perché mi vogliono male, o se mi vogliono bene. Ma non lo so!
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Se mi dite di non mangiare una cosa e io non so perché voi mi dite di non mangiare quella cosa, non so se mi volete bene o invece mi odiate e me lo dite per farmi del male, per farmi cadere, per tendermi una trappola o per prendermi in giro. Io non lo so. Tutto dipende dal capire il senso dei comandi. Per inciso guardate che questa è l’obbedienza che la Bibbia chiede all’uomo. La Bibbia dice che l’obbedienza che Dio vuole dall’uomo è un’obbedienza che, avendo capito qual è il senso del comando, obbedisce al senso di quel comando.

Lo fa volontariamente, spontaneamente, in un’obbedienza che diventa assolutamente libera. Perché io, siccome capisco qual è il senso del comando e capisco che è un comando giusto, faccio quello che mi si chiede perché anch’io sono convinta di farlo e voglio farlo. Dio non sa che farsene dell’obbedienza formale di chi fa quello che Lui gli dice senza sapere perché. L’obbedienza che la Bibbia chiede è un’obbedienza particolarmente impegnativa perché bisogna capire cosa ci viene chiesto. E capire cosa ci viene chiesto non solo ci impegna, ma impegna l’intelligenza e anche proprio il cuore perché viene messa di mezzo la nostra volontà. Ma poi ci impegna sul piano decisionale perché obbedire veramente a certi comandi può persino paradossalmente portarci a fare concretamente delle cose diverse da quelle che apparentemente ci vengono chieste.
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Ho un esempio molto bello. S.Teresa d’Avila, lasciando delle prescrizioni per il comportamento delle sue suore, ad un certo punto ha lasciato detto che, quando si fonda un nuovo Carmelo, bisogna costruirlo in modo che l’infermeria venga messa a nord. Allora noi possiamo obbedire a questo in due modi. Possiamo dire: c’è scritto così e noi lo facciamo così. Tutto a nord! A noi interessa obbedire. Lei ha detto di mettere l’infermeria a nord e noi così facciamo. Precisi, che sia rigorosamente a nord, non magari a nord-est! Siamo nel 1815, andiamo a fondare un convento carmelitano a Oslo, in Norvegia, e dopo pochissimo tempo non avremo più suore malate. Perché dopo poche ore in infermeria prenderanno la polmonite e moriranno! Poi però scopro che S.Teresa d’Avila dice queste cose parlando di una città in Spagna, dove fa molto caldo. E allora capisco che il senso del comando era un altro. Le carmelitane seguono delle regole molto dure, ma nel caso in cui le suore sono malate ci sono altre esigenze. Allora non vale più l’ascesi, la via della durezza, il sacrificio, la passione. Niente, qui prevale l’amore, qui prevale la carità. Se la vostra sorella è malata voi la dovete mettere nel posto in cui soffre di meno, in cui c’è più fresco, e quindi la dovete mettere a nord.
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Quindi se uno capisce questo quando poi vuole obbedire a S.Teresa e va a costruire il Carmelo a Oslo, mette l’infermeria a sud, per obbedire a S.Teresa che gli ha detto di metterla a nord. Ora questa è l’obbedienza biblica. E guardate che comunque niente è automatico, perché il rischio è che qualcuno dica: va bene, abbiamo capito, d’ora in poi facciamo il contrario di quello che ci dicono... No! Ogni volta uno si deve interrogare sul senso e poi obbedire al senso. Fate attenzione: al senso attraverso la lettera. Guai a lasciare la lettera. Che uno non dica: beh, io ormai obbedisco al senso, ormai ho lo Spirito, ormai della lettera della Legge non mi importa niente. Non ha più niente a che vedere con me. Non è così, perché se S.Teresa non avesse lasciato scritta questa cosa dell’infermeria, non avrebbe lasciato questo insegnamento dell’amore per la sorella malata. La lettera è fondamentale. Solo che poi la devi capire e devi obbedire. Devi obbedire alla lettera, ma nello Spirito.
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Quando noi siamo davanti ad un comando di Dio, noi abbiamo la possibilità o di mettere l’infermeria a nord o di metterla a sud. Di obbedire secondo il senso o di obbedire come si obbedisce ad un despota: ha detto di fare così ed io lo faccio. Se io entro in questo tipo di obbedienza, sono obbediente in modo servile, non da figlio, ma da schiavo. L’obbedienza formale, che si limita a fare, senza cuore. Quando cominciamo ad obbedire così a Dio senza più capire ciò che Dio ci comanda e limitandoci ad osservare la lettera, quello che avviene è che il comando di Dio inevitabilmente comincia ad espandersi, perché invece di essere un comando diventa un tabù. Perché io, donna che sono nel giardino, non so più perché Dio mi ha detto che non devo mangiare di quell’albero, e allora dico: “Boh, mi ha detto di non mangiarlo... non lo mangio. Non lo mangio... ma potrò toccarlo?”. Se io non capisco perché muoio se lo mangio, mi può venire il dubbio che potrei morire pure se lo tocco. Allora per sicurezza non lo tocco nemmeno... Ci potrò passare vicino? Sai, per sicurezza, evitiamo anche di passarci vicino. Lo potrò guardare? Nel dubbio meglio anche non guardare. Allora io vivo nel giardino, che dovrebbe essere il luogo della mia gioia, evitando di toccare tutto, di guardare, con la testa girata indietro.
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Uno allora arriva a dire: “Se è così, io dal giardino me ne vado!” E’ facile ridere se diciamo questo, ma pensate a cosa succedeva quando ci si diceva che non si può mangiare la carne al venerdì. Ed era una cosa che aveva un senso bello, perché la Chiesa come madre ci dava delle indicazioni di senso. Ci diceva: guardate il venerdì è il giorno in cui si fa memoria della Passione del Signore, allora è anche il giorno in cui si fa memoria del fatto che la rinuncia, anche la sofferenza, se vissute in un certo modo, hanno un senso. E poi c’è un’esigenza di carità, di condivisione. Allora il venerdì non mangiate carne, che è un cibo da ricchi. Fatelo come fatto simbolico. E’ un modo con cui voi assumete quello che ha il sapore di una rinuncia, il giorno in cui il Signore Gesù ha rinunciato a difendersi per salvare gli altri e quindi ad entrare nel cammino della morte e questo diventa poi la possibilità di condividere con altri, perché quello che tu non utilizzi oggi per comprare la carne può servire ad altri per mangiare. Vedete che era molto bello.
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11/05/2011 18:29

Ma voi vi ricordate che noi avevamo il problema di capire se il venerdì si poteva mangiare il brodo fatto con il dado perché non sia mai nel dado c’era l’estratto di carne? E non è come la donna che dice: “Oddio, forse non lo posso guardare?” Poi magari c’era chi poteva che non mangiava nemmeno il brodo di carne per essere sicuro, però una bella sogliola, frutti di mare e, ogni tanto, un’aragosta se la mangiava. E aveva fatto il venerdì. E’ quello che sta succedendo alla donna, che quindi dice: “Non lo si deve neanche toccare”. Che non è vero, è lei non ha capito niente.

Terzo errore della donna, e questo è quello definitivo. La donna dice: “Dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: non lo dovete mangiare e non dovete toccarlo”. Ma vi ricordate che gli alberi sono due e che l’albero che sta in mezzo al giardino è l’albero della vita? E qui la donna è caduta definitivamente nella trappola perché parla dell’albero della vita come se invece fosse l’albero proibito. Questa confusione degli alberi dice che tutto si è confuso nella coscienza della donna e che ormai la donna percepisce l’obbedienza al comando di Dio come qualche cosa che non le permette di vivere e di vivere in pienezza. Prima io vi facevo ridere però alla fine uno dice: “Se è così che devo vivere dentro al giardino, io così non vivo più”. Ma quante volte noi davanti a certe esigenze evangeliche, quante volte davanti a quello che ci sembrava essere su di noi la volontà di Dio, noi abbiamo detto e diciamo: “Se è così io non vivo più?” Credo che nella vostra vita prima o poi sia successo.
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Questo è il meccanismo della tentazione, questo è il meccanismo del peccato secondo Gen 3. Per cui la donna si ritrova in realtà senza quasi accorgersene in pieno discorso del serpente, quasi senza saperlo. Ma, alla fine, sapendolo invece perfettamente. Il cammino è lungo per arrivare a questo, ma si ritrova a dire insieme al serpente che Dio è cattivo perché ha dato un comando cattivo. Perché ci dice di fare delle cose non perché ci vuole bene e vuole la nostra felicità; ci dice di fare delle cose o di non farle perché invece non ci ama. E questo che Lui ci dice ci mette in condizione insostenibile di sofferenza, di non vivere più in pienezza. Se Dio è questo io non riesco a riconoscere in Lui un Padre.

Infatti appena la donna ha dato questa risposta il serpente scopre definitivamente le carte. A questo punto non ha più motivo di tenerle nascoste, e dice: “No, voi non morirete affatto e anzi Dio sa che quando voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio conoscendo il bene e il male”. Che tradotto vuol dire: “Hai proprio detto bene, Dio è cattivo. E il comando che ti ha dato non è per il tuo bene, ma per il suo proprio interesse. Davanti a un Dio così, cattivo, dispotico, che mi vuole morto, allora è meglio che muoia Lui”.
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Allora la donna decide di prendere il frutto. Perché a questo punto cambia anche il suo modo di vedere l’albero. Lo guarda, dice il testo, e vede che “il frutto è bello, è buono da mangiare, è desiderabile”. E’ cambiato il cuore e quindi cambiano anche gli occhi. Nel momento in cui io dico che Dio è cattivo e mi chiede cose che non sono per il mio bene, allora le cose proibite diventano belle e desiderabili, io non le so più riconoscere per quello che davvero sono. Io non so più capire che quello mi fa male, e invece dico: “Invece mi farebbe proprio un gran bene”. Che è il modo tranquillo con cui noi solitamente iniziamo a peccare quando davanti a qualcosa che sappiamo essere male, cominciamo a dirci: “Dunque, Dio ha detto che questo è male. Io ero convinta di questo fino ad un po’ di tempo fa.. Però adesso le cose sono cambiate. Può anche darsi che effettivamente questo sia male, però è male in genere, ma non per me. In questa situazione particolare non è male, anzi, tutto considerato, è bene, mi aiuta farlo. E perché mai non dovrei farlo? Che male c’è?” E lo fai.
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Perché se noi fossimo davvero convinti che quello è male noi non lo faremmo. Perché nessuno di noi è talmente folle da fare qualche cosa che lo distrugge. Se noi fossimo consapevoli che il male ci ammazza - perché così è - noi non lo faremmo. Ma l’idea di Gen 3 è che noi, pur sapendo che il male ci ammazza, ci autoconvinciamo - ecco il serpente, l’inganno, l’astuzia - che invece, in questa particolare occasione a me non solo questa cosa non mi ammazza, ma anzi mi farebbe proprio un gran bene. E lo faccio. Il frutto diventa bello, e se gli occhi decidono che il frutto è bello allora il gesto della mano che prende il frutto è assolutamente automatico. Nel momento in cui tu hai giudicato che ciò che è male invece è bene, il peccato tu l’hai già consumato. E la donna prende il frutto e poi lo dà anche all’uomo.

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Dicevamo che davanti alla donna che ormai è rimasta presa in trappola, il serpente dà la sua botta finale per la caduta della donna. Vedete: anche la risposta del serpente è un’affermazione non verificabile. Dice: “No, non è vero, Dio vi ha detto questo perché non vuole che conosciate il bene e il male”, ma una cosa di questo tipo non si può verificare. O ti fidi o non ti fidi. E questo anche è un elemento significativo nell’insegnamento di questo racconto, perché ci dice che noi siamo davanti a due parole, a due sapienze, quella di Dio e quella del serpente. E tu devi decidere di quale ti fidi.

Perché non è verificabile la risposta del serpente come però a volte non è verificabile neppure il comando di Dio. Allora tu puoi fare riferimento alla tua esperienza, all’esperienza di coloro che ti hanno preceduto, ma anche lì dipende se ti fidi o non ti fidi. In altre parole quello che è in gioco è la fede. Ed è inutile andare in cerca di quello che mi può garantire dentro la fede. E’ la fede che si garantisce da sé. Siamo davanti a due sapienze, quella del serpente e quella di Dio.
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