LA CONVERSIONE DI SAULO

LA CONVERSIONE DI SAULO

 

LA CENA DEL SIGNORE

Ultimo Aggiornamento: 13/05/2011 17:21
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13/05/2011 17:05

Il sacerdote – scrive Agostino – prende da voi ciò che egli sta per offrire per conto vostro, quando volete riconciliarvi con Dio per i vostri peccati (Agostino, Enarrationes in Ps 129, 7).

Tuttavia anche la processione dei fedeli conserva tuttora il suo valore perché ad essa – nota Ambrogio – non possono partecipare i neo-battezzati prima degli otto giorni dal loro battesimo e nemmeno gli scomunicati, come prescrive il Sinodo di Elvira (c. 50) (Ambrogio, In Ps 118, prol. 2; Sinodo di Elvira (a. 305) can. 60). Ancora al 6° se4colo il concilio di Maçon (a. 585) prescriveva a tutti i cristiani, uomini e donne, di portare all'altare ogni domenica del pane e del vino (can. 4).

Con l'idea della transustanziazione l'offerta compiuta dai fedeli, sia pure tramite il sacerdote, passò in seconda linea e si ritenne un sacrificio quello che il sacerdote compie rendendo presente Gesù, senza alcun riguardo al sacrificio dei fedeli. Ormai è il celebrante che rinnova nella messa il sacrificio di Cristo, per cui l'accento passò dall'offertorio – ritenuto ormai una sua semplice preparazione – alla consacrazione, che, come vero sacrificio, rinnova in modo incruento quello della croce.

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Tommaso D'Aquino ha mostrato che anche i cristiani hanno nell'eucaristia, un sacrificio da offrire, perché è legge di natura che ogni religione abbia il suo sacrificio (Summa Teol. 2.2 ae q. a. 1). Esso non consiste nella comunione bensì nella consacrazione; la partecipazione al sacrificio è tuttavia necessaria per cui i sacerdoti si comunicano sia per se stessi, sia in rappresentanza dei fedeli (ivi 3, 80, 12). L'eucaristia è offerta dallo stesso Cristo per bocca del sacerdote e possiede la stessa efficacia del sacrificio della croce, che essa rappresenta e commemora (3, 83, 1).

I protestanti, poggiando sull'affermazione biblica che unico e irripetibile è il sacrificio della croce, negarono che la messa fosse un vero sacrificio. La prima testimonianza ufficiale del termine transustanziazione si ebbe solo nel 1215 con il concilio Lateranense IV.

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13/05/2011 17:10

Nella chiesa il sacrificio è dato dallo stesso sacerdote Cristo Gesù, il cui corpo e sangue si contengono nel sacramento dell'altare sotto le specie del pane e del vino dal momento in cui, per divino potere, il corpo si transostanzia nel pane e il sangue nel vino (c. 1 De fide catholica contra Albigenses et Catharos, Denz. Sch. 802).

Per tale motivo il Concilio di Trento scomunicò chiunque negasse il sacrificio della messa.

Se qualcuno dirà che nella Messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio, oppure che questo consiste solo nel fatto che Cristo viene dato in cibo, sia scomunicato (Concilio di Trento, Sess. 22 (a. 1562) Denz. Sch. 1751).

In epoca moderna i teologi hanno tentato di chiarire meglio l'essenza del sacrificio eucaristico, seguendo due correnti: l'offerta a Dio e l'immolazione.

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1) Offerta . Secondo il Lepin, Suarez, Scheeben è solo l'offerta e non l'immolazione che appartiene all'essenza del sacrificio. L'olocausto è ucciso solo per essere bruciato e così produrre qualcosa di profumato e gradito da offrire a Dio. Dopo il sacrificio di Noè: « Il Signore odorò la fragranza soave e disse: Non... colpirò ogni essere vivente (mediante il diluvio) » (Ge 8, 21). La Messa è quindi un sacrificio perché è una nuova offerta della croce, compiuta da Gesù tramite il sacerdote.

2) L'immolazione sarebbe invece essenziale al sacrificio, per cui senza l'effusione di sangue, non vi sarebbe remissione di peccato. Quindi anche la messa deve consistere in una immolazione, che però è intesa in modo diverso.

a. Essa consiste nel fatto che gesù glorioso (che già una volta si incarnò) ora di annichila e assume la forma di cibo e di bevanda. Così in passato sostennero il De Kugo e Vasquez.

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b. Per altri (Billot, O. Casel, A. Piolanti, O. Betz) l'immolazione avverrebbe solo simbolicamente, perché dopo la consacrazione il corpo e il sangue (anche se nella realtà non sono disuniti tra loro) sono tuttavia rappresentati come se fossero separati sotto le specie del pane (corpo) e del vino (sangue). « La Messa è una celebrazione rituale e la ripresentazione dell'azione divina (...) nella quale il fatto salutare del passato diventa presento nel rito (...) per cui la comunità che vi partecipa ottiene in tal modo la salvezza » (Casel).

3) Per il De La Talle la Messa sarebbe un nuovo sacrificio solo per il fatto che la chiesa aggiunge la propria offerta sacrificale alla immolazione compiuta da Gesù sulla croce e che viene ricordata dai simboli eucaristici. Ma in tal caso non sarebbe più il sacrificio della croce (che è unico ed irripetibile), bensì un nuovo sacrificio diverso dal precedente.

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c) Partecipazione al sacrificio da parte dei fedeli

Anche i fedeli hanno parte nell'azione liturgica della santa Messa, come asseriva già nel medio Evo Innocenzo III (m. 1216).

Non soltanto offrono i sacerdoti, ma anche tutti i fedeli; perché ciò che (nell'Eucaristia) si compie per il ministero dei sacerdoti, si compie universalmente per voto dei fedeli (Innocenzo III, De sacro altaris mysterio 3, 6).

Scriveva Pio XII:

E' necessario che tutti i fedeli considerino loro principale dovere e somma dignità partecipare al sacrificio eucaristico non con una assistenza passiva, negligente e distratta, ma con tale impegno e fervore, da porsi in intimo contatto con il sommo sacerdote (Gesù) (Pio XII, Mediator Dei (a. 1947)).

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Come partecipano i fedeli a questo sacrificio? Ce lo spiega la Mediator Dei di Pio XII.

A questa oblazione propriamente detta i fedeli partecipano nel modo loro consentito e per un duplice motivo: perché essi offrono il sacrificio non soltanto per mano del sacerdote, ma in un certo modo, anche insieme con lui, e con questa partecipazione la stessa offerta fatta dal popolo si riferisce al culto liturgico (Pio XII, Mediator Dei (a. 1947) Denz. Sch. 3851).

Sin dai primi tempi della chiesa i cristiani contribuivano attivamente alle spese per la cena del Signore e per la stessa comunità presentando i propri doni nel cosiddetto offertorio: pane, vino, cibo per i poveri, olio per le lampade della illuminazione. Più tardi questo comportamento comunitario fu sostituito da un modo di agire più individualistico: la Messa fu valutata per i suoi effetti che produce per se stessa e si è pensato di indirizzare tali benefici spirituali verso se stessi o verso i defunti. perché tale applicazione si effettuasse, i cristiani hanno pensato di offrire del denaro al sacerdote perché offrisse una o più messe per una determinata intenzione. Il sacerdote si tiene tale denaro per il proprio sostentamento o per altri bisogni. Solo nel caso che egli celebri di domenica più messe, ha il diritto di tenersi l'offerta di una sola Messa, mentre l'eventuale contributo per l'altra o le altre viene devoluto al vescovo oppure utilizzato in opere di carità secondo le disposizioni episcopali. Nel Medioevo si infiltrarono al riguardo anche delle superstizioni, come nel caso delle cosiddette messe gregoriane.

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Paolo VI con il motu proprio Firma in traditione – spinto forse dalla crescente diminuzione di tali offerte – ne sottolineò il vantaggio spirituale:

Costoro, spinti dal loro senso religioso ed ecclesiale, si uniscono alla celebrazione della Pasqua del Signore con un loro personale concorso... si associano in un modo più intimo al Cristo sofferente e ne percepiscono frutti più abbondanti.

In qualche luogo l'offerta di messe costituisce l'unico mezzo con cui i sacerdoti e i loro collaboratori possono venire sostentati. La chiesa quindi « non solo approva ma incoraggia il contributo dei fedeli tramite l'offerta di sante messe » (Firma in traditione del 13 giugno 1974; Oss. Rom. 28-6-74, p. 1).

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Penso che i cristiani dovrebbero evidentemente aiutare le loro guide spirituali come suggerisce l'apostolo Paolo (1 Co 9, 4-11; 1 Ti 5, 17 s) e come lui pure venne aiutato in particolari momenti di necessità (Fl 4, 10-20), ma ciò entro i limiti suggeriti dalla parola di Dio. Tale aiuto deve essere effettuato per amore e non per interesse personale (come nel caso delle messe applicate a se stessi o a propri defunti), senza incorrere nella superstizione (messe gregoriane) e senza attribuire un'efficacia inesistente a un sacrificio non biblico. L'efficacia viene ai cristiani dal sacrificio della croce, di cui ogni credente si appropria tramite la fede obbediente.

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3) Insegnamento moderno del magistero ecclesiastico

La dottrina eucaristica del Vaticano II e, specialmente di Paolo VI, pur riallacciandosi sostanzialmente alla dottrina tradizionale, ha messo in particolare rilievo i seguenti punti:

a) Accento sul sacrificio eucaristico piuttosto che sul realismo sostanziale della presenza di Gesù

Nella Cost. Sacrosantum Concilium leggiamo: « Il nostro Salvatore nell'ultima cena, la notte in cui fu tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue, onde perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il Sacrificio della croce... Sacramento nel quale si riceve il Cristo » (n. 47).

«La Messa è il sacrificio del Corpo e del Sangue di Cristo, i quali sono così in un certo modo presenti» (Cost. Lit. 47); è «il sacrificio per eccellenza » (Presbyt. ordinis 5), nel quale i sacerdoti « ripresentano... l'unico sacrificio di Cristo, che una volta per sempre ha offerto se stesso al Padre » (Cost. Chiesa n. 28) e « perpetua nei secoli... il sacrificio della croce » (Cost. Lit. n. 47).

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Paolo VI, nell'Omelia per la festa del Corpus Domini (29 maggio 1975), ha detto: « Gesù compie gesti insoliti... distribuendo ad un dato momento pane e vino così radicalmente investi da nuove, qualificanti ed essenziali definizioni del suo proprio corpo e del suo proprio sangue da trasformare il pasto in sacrificio » (Oss. Rom. 30-5-75 p. 1).

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b) Valore simbolico del pane e del vino

Sulla scia dell'insegnamento biblico Paolo VI ha accentuato il valore simbolico dei segni visibili, che riguarda tanto la comunione con il Cristo quanto la comunione dei fedeli tra loro.

1) Comunione con IL Cristo

Il pane e il vino, queste specie tanto comuni hanno valore di simbolo, di segno: segno di che? ... segno che Cristo vuol essere nostro cibo, nostro alimento, principio interiore di vita per ciascuno di noi... L'incarnazione si estende nel tempo affinché ogni cristiano divenga davvero come il tralcio alimentato dal ceppo dell'unica vie (Gv 15, 1), il prolungamento di Cristo » (Paolo VI, Allocuzione del 5-6-69, Oss. Rom. 6/7-6-69, p. 1).

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2) Simbolo dell'unità ecclesiastica. Il Concilio Vaticano II ha più volte ribadito questo concetto:

Col sacramento del pane eucaristico, viene rappresentata e si compie l'unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo (Cost. Chiesa (21-11-64) n. 3).

«L'eucaristia è segno perfetto di unità », è « causa meravigliosa dell'unificazione dei credenti con Gesù Cristo e fra di loro » « benché alimenti grandemente la vita intima, essa eccelle anche per l'efficacia sociale », ed è « sorgente della vera amicizia ». L'eucaristia « è istituita perché diventiamo fratelli; è celebrata dal sacerdote ministro della comunità cristiana, perché da estranei, dispersi e indifferenti gli uni dagli altri, noi diventiamo uniti, uguali ed amici; è a noi data perché da massa apatica, egoista, gente fra sé divisa ed avversaria, noi diventiamo un popolo, un vero popolo, credente e amoroso, di un cuore solo e di un'anima sola ». « La grazia specifica di questo sacramento è precisamente l'unità del corpo mistico... l'eucaristia è figura e causa di questa unità », Essa « significa e produce una comunione di fede che può avere un enorme e incomparabile beneficio riflesso sulla società temporale degli uomini... è il sacramento capace di renderli fratelli ».

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«Gesù ha dato se stesso come alimento interiore di vita personale e come principio di unità sociale, vivente ed organica, così da compaginarci tutti, nella pienezza della nostra singola personalità, in un solo corpo, il suo corpo mistico, che è la comunione dei santi, la chiesa cattolica » Appunto perché l'eucaristia è simbolo di unità ecclesiale non è possibile l'intercomunione con i fratelli separati, a meno che non si tratti di ortodossi, assai più vicini al cattolicesimo di tutti gli altri credenti separati. Di qui la preghiera eucaristica: « Guarda con amore e riconosci nell'offerta della tua chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione, a noi che ci nutriamo del suo corpo e del suo sangue dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo, un solo corpo e un solo spirito ».

Non si tratta evidentemente di novità, perché era vissuta tale idea dai primordi del cristianesimo: già la Didachè, verso la fine del 1° secolo, affermava:
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Come questo pane era sparso su per i colli e, raccolto, divenne una cosa sola, così si raccolga la tua chiesa dai confini della terra nel tuo regno » (9, 4). Tale concetto dominava in Africa dove Cipriano, vescovo martire del 3° secolo, scriveva: « Quando il Signore chiama il suo corpo pane, risultante dall'unione di molti grani, vuole indicare il nostro popolo adunato ». E altrove « nel sacramento stesso si mostra il nostro popolo riunito ».

Sulla scia di tali idee unitarie, Agostino sottolineava che l'unità della chiesa è creata nell'eucaristia:

Uno solo pane formato da molti grani, un solo corpo composto da molti membri, così la chiesa di Cristo, è composta da molti fedeli, che sono uniti nella carità.

Dello stesso è l'espressione: « O sacramentum pietatis! O signum unitatis! O vinculum caritatis! ».

Anche Tommaso, riallacciandosi al vescovo di Ippona, scriveva:

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L'Eucaristia realizza l'unità della chiesa perché consiste in una comunione mediante la quale gli uomini sono uniti a Cristo, in quanto partecipano al suo corpo e alla sua divinità, e di conseguenza vengono puri uniti tra di loro. L'unione comprende due unità: la prima riguardante l'incorporazione che ci unisce a Cristo e la seconda consiste nell'unità che noi stessi riceviamo dal Cristo capo.

Ma nel corso dei secoli tale idea rimase soffocata dai problemi riguardanti la presenza reale di Cristo, per cui ha fatto bene il magistero della chiesa cattolica e riesumarla nei tempi moderni. Il concetto dell'eucaristia come segno di unità ha fatto sorgere il problema se alla comunione eucaristica dei non cattolici possano partecipare i cattolici, per i quali « l'unica chiesa di cristo, costituita e organizzata in questo mondo come società, sussiste solo nella chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui ». Secondo costoro, dal momento che l'eucaristia è il sacramento dell'unità della chiesa, ne deriva che quanti non sono cattolici non possono accedere all'eucaristia cattolica. Il problema è stato più volte esaminato dal Concilio Vaticano II sia dal Segretariato per l'unione dei cristiani.

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Nel decreto conciliare sull'ecumenismo Unitatis redintegratio su dichaiara che « comunicazione nelle cose sacre non si deve usare indiscriminatamente come mezzo per ristabilire l'unità dei cristiani » (n. 8). In altre parole non si può permettere la comunione eucaristica ai fratelli separati con lo scopo specifico di facilitare il loro ingresso nella chiesa cattolica. Il Segretariato per l'unione dei cristiani si è espresso prima nel suo Direttorio ecumenico (1967 nn. 44 e 55) e poi nell' Istruzione del 1972 sui «casi di ammissione di altri cristiani alla comunità eucaristica della chiesa cattolica ».

Nel sacrificio della Messa, celebrando il mistero di Cristo, la chiesa celebra il proprio mistero e manifesta concretamente la sua unità (n. 2b). la relazione tra la celebrazione locale dell'eucaristia e l'intera comunione ecclesiale viene indicata anche nel ricordo speciale del papa, del vescovo locale e degli altri vescovi (n. 2c). Quindi per sua natura la celebrazione eucaristica esige una piena professione di fede e una completa comunione ecclesiale (n. 4a).

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13/05/2011 17:15

Ora tale principio sarebbe alterato qualora un fratello separato, pur professando una fede diversa dalla cattolica, chiedesse di ricevere questo sacramento per manifestare la sua unione fraterna con i cattolici, senza però entrare a far parte della loro chiesa. Ma se invece, non potendo ricorrere « al ministro della propria fede ecclesiale per un periodo prolungato di tempo », sentisse il bisogno « di questo nutrimento spirituale », il vescovo locale deve giudicare se quel fratello separato, vivente nella diaspora a riguardo della sua chiesa, possa essere ammesso alla comunione eucaristica (n. 6). Questo riguarda particolarmente gli ortodossi perché costoro, pur essendo separati da Roma, di fatto riconoscono la successione apostolica, il sacerdozio e l'eucaristia, e quindi sono uniti alla chiesa cattolica da uno stretto legame. I cattolici, nelle stesse condizioni, possono pur essi partecipare alla comunione ortodossa..

Infine una nota del 17 ottobre 1973 dello stesso Sgretariato osserva che: «il desiderio della partecipazione comune all'eucaristia esprime in fondo il desiderio stesso della perfetta unità ecclesiale di tutti i cristiani come Cristo l'ha voluta » (n. 10). Quindi essa concludeva con:

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«la speranza che il movimento ecumenico ci conduca a una comune professione di fede tra i cristiani e ci permetta così di poter celebrare nell'unità ecclesiale l'Eucaristia, adempiendo le parole (dell'apostolo): Perché v'è un solo pane, noi pure siamo un corpo solo » (n. 10).

Siamo anche qui ben lontani dalla valutazione di Paolo che suggeriva la credente di « esaminare personalmente se stesso » prima di accedere alla cena del Signore, senza bisogno di legislazioni ecclesiastiche che gli permettano o gli proibiscano di fare la comunione.

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c) Presenza di Cristo

Molti teologi moderni hanno notato l'assenza della parola « transustanziazione » tanto nei documenti conciliari (Vaticano II) quanto in molti discorsi di Paolo VI; hanno pure rilevato che la dichiarazione ecumenica di Windsor (commissione internazionale anglicana e cattolico-romana) del 7 settembre 1971, ha evitato, sia pure per evidenti ragioni di carità fraterna verso i « fratelli separati » non cattolici, di nominare la « transustanziazione ». Ma da questo fatto sarebbe arbitrario ed erroneo dedurre che il magistero cattolico odierno abbia accolto il pensiero di quei teologi – particolarmente olandesi – che cercano di minimizzare la trasformazione ontologica del pane e del vino a vantaggio della sua simbologia. Troppi documenti vi sono contrari:: bisogna credere – dice Paolo VI – che dopo la consacrazione, il pane e il vino « sono un'altra cosa del tutto diversa » e ciò non solo in base al giudizio della fede ecclesiastica ma per la realtà oggettiva, in quanto convertitasi la sostanza del pane e de vino nel corpo e nel sangue di Cristo, nulla più rimane del pane e del vino se non le sole specie, sotto le quali tutto intero il Cristo è presente nella sua fisica realtà, anche corporalmente...

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Nell'Omelia del Corpus Domini 1970, Paolo VI ha ripetuto:

La presenza di Cristo è vera e reale, ma sacramentale... Si tratta di una presenza rivestita di segni speciali, che non lasciano vedere la sua divina e umana figura, ma solo ci assicurano che Egli, Gesù del vangelo ed ora Gesù vivente nella gloria del cielo, è qui, è nell'Eucaristia. Dunque si tratta di un miracolo? Sì, di un miracolo che Egli, Gesù Cristo diede il potere di compiere, di ripetere, di moltiplicare di perpetuare ai suoi apostoli, facendoli Sacerdoti, e dando a loro questo potere di rendere presente tutto il suo Essere, divino e umano, in questo sacramento... che sotto le apparenze del pane e del vino contiene il corpo, il sangue, l'anima e la divinità di Gesù Cristo.

Anche in un'altra circostanza Paolo VI volle richiamare alla mente questa misteriosa trasmutazione «del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù, che sbalordisce la mente umana e la rende attonita:

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