LA CONVERSIONE DI SAULO

LA CONVERSIONE DI SAULO

 

LA CENA DEL SIGNORE

Ultimo Aggiornamento: 13/05/2011 17:21
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La formula uscita dal Concilio di Gregorio VII, e che fu imposta al giuramento di Berengario diceva:

Io Berengario, credo col cuore e affermo con la bocca che il pane e il vino posti sull'altare, per il mistero della sua orazione e per le parole del nostro Redentore, si convertono sostanzialmente («substantialiter») nella vera e propria vivificatrice Carne e nel Sangue di Gesù Cristo Nostro Signore, e dopo la consacrazione sono il vero Corpo di Cristo, che nacque dalla vergine, che fu appeso alla croce in offerta per la salvezza del mondo e siede alla destra del Padre, e il vero Sangue di Cristo sparso dal suo costato, non soltanto come segno e virtù del sacramento («non tantum per signum et virtute sacramenti»), ma anche nella propria natura e nella verità della sostanza («in proprietate naturae et veritate substantiae» Denz. Sch. 700).

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Berengario giurò. Il papa gli ordinò di non disputare più sul Sangue e sul Corpo del Signore se non per richiamare alla fede allora professata e giurata quelli che per il suo insegnamento l'avevano abbandonata a proibì a tutti i fedeli di S. Pietro, di molestare Berengario « Figlio della chiesa Romana ». Forse per queste sue ultime parole, nel 1080 Enrico IV, re di Germania e d'Italia, riuniti a Brixen ventisette suoi vescovi dei quali diciotto dell'Italia settentrionale, ingiunse loro di deporre Gregorio VII per eleggervi al suo posto l'antipapa Guiberto, arcivescovo di Ravenna, e, tra le altre accuse, aggiunse questa: « antico discepolo dell'eretico Berengario, pone in questione la fede cattolica e apostolica del corpo del Signore ».

Principale avversario di Berengario fu Lanfranco di Bec (1010-1089) che, assieme a Guitmondo di Anversa (m. 1055), spianò la via alla transustanziazione dell'alto Medioevo. Accolto il concetto di sostanza introdotto da Berengario, come la somma delle proprietà percettibili dai sensi, egli distinse tra sostanza (substantia) e forma visibile (species visibilis)
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e per quanto concerne il corpo di cristo tra essenza (essentia) e sue proprietà (proprietates). Di qui la sua affermazione: « Noi crediamo... che le sostanze terrene... si trasformano nell'essenza del corpo del Signore » (De corpore et sanguine Domini PL 130, 430).

Quindi solo l'essenza e non le proprietà del corpo di Cristo sono presenti nel pane e nel vino eucaristici, mentre « la forma esteriore delle cose stesse » (ipsarum rerum species) viene mantenuta nel pane e nel vino (ivi 150, 420 D). Di conseguenza per Lanfranco l'eucaristia è sì un « segno », ma anche una presenza di Gesù, per cui sbaglia Berengario nel ridurla a un puro segno.

Tommaso d'Aquino cercò di chiarire con più precisione il carattere sacrificale della messa e il modo in cui il Cristo diviene presente nell'Eucaristia. Essendo impossibile per il corpo glorioso di Cristo trasferirsi con moto locale dal cielo alla terra ogni qual volta il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione, bisogna concludere che esso vi diviene presente mediante la conversione della sostanza del pane nella sostanza del suo Corpo e della sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue, senza che per questo il Cristo aumenti o diminuisca di volume. Che si tratti di conversione della sola sostanza risulta dal fatto che anche dopo tale mirabile conversione continuano a essere presenti le apparenza – colore, durezza, sapore e forma – del pane e del vino (specie). Per sottolineare tale fenomeno fu coniato in quel tempo il termine di « transustanziazione ».

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Tuttavia, per concomitanza, anche il sangue di cristo è presente nel pane e il corpo nel vino. Quindi colui che si ciba solo dell'ostia riceve tutto il Cristo allo stesso modo che colui che beve anche il vino. Poggiando su tali premesse il Concilio di Costanza, per ovviare ad alcuni inconvenienti, soppresse definitivamente nel 1415 l'uso del vino e introdusse l'obbligo del digiuno eucaristico dalla mezzanotte precedente la comunione. Tale dottrina si mantenne quasi inalterata – salvo alcune variazioni sul tempo del digiuno – sino ai più recenti documenti ufficiale della chiesa cattolica.

I fondatori del protestantesimo (sec. 16°) diedero interpretazioni diverse alla eucaristia: per Lutero , il corpo glorioso di Cristo si trova dovunque, anche in ogni pietra, nel fuoco e nell'acqua, come dovunque esiste Dio, al quale esso è personalmente unito. Per chi partecipa alla cena del Signore la presenza del Cristo nel pane e nel vino eucaristico diviene percepibile mediante le parole dell'istituzione (consustanziazione).

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Per Calvino nella celebrazione eucaristica lo Spirito Santo attira a sé i partecipanti perché si incontrino con il Signore, così pure li attrae con la predicazione, con la preghiera e con il battesimo. Non è nel pane o nel vino, che si attua l'incontro – come affermava Lutero – bensì al di là dei due elementi materiali, vale a dire « là » dove esiste il Cristo glorioso, l'unica realtà essenziale, che si unisce con i credenti.

Per Zwingli ed Ecolampadio l'eucaristia è invece un puro simbolo e la presenza del Cristo si realizza nella nostra mente.

Contro quei protestanti, che, per riaffermare l'aspetto biblico della Cena del Signore insistevano più sul concetto di « segno » che su quello di « sostanza » nella sessione 13° dell'ottobre 1551 il Concilio di Trento definì « transustanziazione » la mirabile « conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo... e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue », quale si attua con le parole della consacrazione pronunciate dal sacerdote. Con la presenza del Cristo sotto le apparenze visibili del pane e del vino, si « rinnova » e si « perpetua » il sacrificio della morte di Cristo. Eccone il passo fondamentale:

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Prima di tutto il sacro Concilio insegna che in questo augusto sacramento della Santissima eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, sotto le specie (= apparenze) di queste cose sensibili, si contiene veramente e sostanzialmente il nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo... Se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell'Eucaristia si contenga veramente, realmente e sostanzialmente il corpo e il sangue, insieme con l'anima e la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo e perciò tutto Gesù Cristo, ma dirà che in questo sacramento Gesù vi è soltanto in segno o in figura o in potenza, sia scomunicato.

Il vocabolo « transustanziazione », che fu « usato dalla chiesa cattolica per molti secoli, è, per il Concilio, assai conveniente e appropriato » (Sess. 13, Decreto sull'eucaristia c. 4, Denz. Sch. 1642). L'anno 1792 Paio VI ne lamentò l'omissione da parte del sinodo di Pistoia, come se non si fosse trattato di un termine coniato dalla chiesa per la salvaguardia di un « articolo di fede » (Cost. Auctorem fidei n. 29 Denz Sch. 2629).

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Dal secolo XIX la pietà cattolica, lasciando nell'ombra il valore comunitario e simbolico dell'eucaristia, si rivolse particolarmente ad adorare nell'ostia il Cristo mediante le processioni e le benedizioni eucaristiche. La messa divenne il mezzo con il quale si rende presente il Cristo nell'ostia; mentre il carattere conviviale scomparve, in quanto basta una minima particella di ostia, per ricevere Gesù nella sua completezza. Alcuni teologi più recenti, volendo rifarsi meglio al concetto biblico di segno, ricordando che esso ha un legame inscindibile con la realtà significata e. nel caso presente, con il Cristo che muore sul Calvario, dissero che egli divine in un certo qual modo presente nel segno. Sorsero così alcuni nuovi tentativi per spiegare meglio la presenza eucaristica di Gesù e per chiarire il concetto medievale di transustanziazione.

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Mentre in Italia si svolgeva una discussione tra l'interpretazione fisicistica (F. Selvaggi) e quella ontologica (C. Colombo) della conversione eucaristica, la teologia d'oltralpe si impegnava in un altro problema: se mantenere la parola transustanziazione troppo ontologica o cercare un altro termine più antropologico. Si pensò quindi di sostituire il vocabolo « transustanziazione » con altri termini più appropriati e accessibili come « transfinalizzazione » e « transsignificazione », dai quali apparirebbe meglio il fatto che la sostanza del pane e del vino si muta non sul piano della sostanza ma su quello della relazione con il « credente ». Tale idea, diffusa nel 1950 tramite un dattiloscritto francese attribuito a un « noto teologo testè defunto », fu valorizzata per primo da I. De Baciocchi. Secondo questi teologi il pane e il vino possono essere visti sotto diversi aspetti.

Per il chimico sono un puro aggregato di atomi, riuniti in modo caratteristico.

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Il filosofo li vede nel loro aspetto ontologico particolare, e ne ricerca l'elemento costitutivo o sostanziale, per cui essi sono pane e vino e non sasso o acqua.

Per il religioso sono segno della provvidenza divina che viene incontro ai suoi figli dando loro il necessario nutrimento.

Per il cristiano , che partecipa all'eucaristia, il pane e il vino assumono un nuovo valore, in quanto significano il corpo e il sangue di Cristo, per mezzo dei quali l'amore di Dio dona salvezza ai credenti.

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C) Nuovi tentativi di spiegazione

Per la fede dl cristiano tutto è mutato in quel momento. prima il pane e il vino erano solo segno e prova della Divina Provvidenza, che procura ai suoi figli gli elementi indispensabili alla loro vita naturale; ma in quell'attimo diventano il simbolo efficace del sacrificio di Cristo, e conseguentemente della sua presenza spirituale. per volere di Dio creatore, gli alimenti della cena acquistano un nuovo valore: subiscono una trasformazione – la più profonda – che li tocca nel grado più intimo dell'essere, che è il costitutivo della loro vera realtà.
Ecco che cosa indica il nome di transustanziazione: non ne diminuiamo la realtà, ma affermiamo che essa non si attua a livello delle apparenze o della scienza o della filosofia. Per credere che questa trasformazione sia reale, basta solo credere che la verità religiosa è l'ultima parola della realtà (Citazione tratta con piccole modifiche, a.c., p. 59, n.7. Da questo brano appare inesatta l'asserzione di Schillebeeckz: « Non mi consta che nella teologia cattolica anteriore al 1950 sia mai stata avanzata una interpretazione simbolica dell'eucaristia. E' però probabile che la critica di Roma poggi su di un malinteso » (la presenza eucaristica o. c., p. 117)).

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B. Welte, in un simposio sull'eucaristia tenuto a Passau (Germania) dal 7 al 10 ottobre 1959, recava alcuni esempi significativi. Una cosa può cambiare la sua essenza secondo la diversa relazione che ha con Dio o con l'uomo: una stessa sostanza chimica può essere un alimento oppure un combustibile. Un tempio greco da un'opera artistica com'era per il costruttore, divenne una casa sacra («casa di Dio») per i fedeli che vi prestavano culto, e ora è un ricordo del passato per un turista. Un panno colorato può essere una tela multicolore, ma può divenire una bandiera nazionale, e quindi il simbolo di un popolo, assumendo così una realtà oggettivamente diversa da quella che era prima. Allo stesso modo il pane e il vino per volere di Dio diventano nella cena qualcosa di diverso dal comune pane e vino in quanto sono simbolo del corpo e del sangue di Gesù; quindi per il credente vengono transustanziati in un cero qual modo nel corpo e nel sangue di Cristo morto e risorto.

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13/05/2011 17:03

Un carissimo amico mi è più intensamente presente e agisce in me tramite una sua lettera più fortemente che non un estraneo che stia accanto a me con il suo corpo. « Due uomini possono trovarsi in stretto contatto fisico su di un tram sovraffollato ed essere infinitamente lontani l'uno dall'altro » (Ratzinger). Il regalo dei genitori in un giorno decisivo della vita conserva un peso e un significato che trascende il suo valore materiale; l'amore e l'amicizia sono capaci di elevare tali realtà al rango di segni realizzativi. Il fatto che Cristo dona se stesso nell'eucaristia, fa sì che il pane e il vino non sono più solo un nutrimento corporeo e un segno di comunione tra uomini; ma segni realizzativi della sua presenza in noi, della sua donazione per noi, del suo sacrificio che ci redime. « Proprio questa ampiezza di donazione, al di là di ogni spazio, è l'essenza del Risorto passato attraverso la morte » (Ratzinger).

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Sia pure con sfumature diverse, pare che tale idea sia stata accolta da Ch. Davis, P. Schoonenberg, L. Smits, E. Schillebeeckz, A. Gerken e dallo stesso Catechismo Olandese dove si legge, tra l'altro, che « il pane è stato sottratto alla sua normale destinazione ed è divenuto il pane che il Padre ci ha offerto in dono: Gesù stesso ». La presenza di Cristo sussiste « fin tanto che sussiste qualcosa che il buon senso può chiamare ancora pane. Insomma: il termine pane va inteso non come concetto fisico, ma come concetto antropologico ».Perciò quando si mangia e scompare il pane, oppure quando il frammento è troppo minuscolo da non essere più considerato pane, allora non vi è neppure la presenza di Gesù. « Quando riceviamo il corpo di Cristo, la sua presenza diviene più intensa in noi, per mezzo dello Spirito ».

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Prima del medio Evo non si è riflettuto in maniera speciale su ciò. Andava da sé che la realtà della presenza di Gesù consistesse in questo segno.
ll Medio Evo approfondiva maggiormente. La coscienza religiosa trovò allora questa espressione del mistero: gli «accidenti», cioè le specie, colore, gusto, ecc. del pane, restano; la «sostanza», cioè il fondo proprio, l'essenza del pane non resta, ma diventa Cristo stesso. Se si continua tale approfondimento secondo il nostro pensiero contemporaneo, ci si esprimerebbe così: il fondo proprio, l'essenza delle cose materiali e ciò che essi sono – ciascuna alla sua maniera – per l'uomo –. Ora nella messa l'essenza del pane diventa radicalmente un'altra: il corpo di Gesù come nutrimento per la vita eterna. Corpo significa in ebraico la persona presa come un tutto. Il pane è diventato tutta la persona di Gesù... (Catechismo Olandese, pp. 403-404).

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Secondo un recente studio di Ratzinger la transustanziazione non sarebbe un cambiamento nell'ordine delle realtà fisico-chimiche, bensì dell'autonomia, essenziale ad ogni essere. Quando il pane e il vino sono consacrati, essi perdono la propria autonomia per divenire puri e semplici segni della presenza di Cristo fra noi, sussistono solo « per lui e in lui ». Nella loro stessa essenza e nel loro essere sono ora segni , così come prima nella loro essenza erano « cose». E in tal modo sono veramente transunstanziati e raggiunti nella loro più segreta profondità e incomunicabile proprietà, nel loro essere, nel loro vero senso: in sé.

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2) Il Sacrificio eucaristico

a) Messa e sacrificio della croce

Assieme al problema della presenza di Gesù nel pane e nel vino eucaristico, si andò sviluppando anche lo studio dell'eucaristia nel suo aspetto sacrificale.

Ignazio di Antiochia nelle sue sette lettere non chiama mai sacrificio (thusìa) l'eucaristia.. I primi che ne parlano presentano come tale non la consacrazione del pane e del vino, bensì le preghiere dei cristiani che accompagnano la celebrazione eucaristica in armonia con i passi biblici. Giustino scrive:

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(Dio) gradisce le preghiere degli individui della nazione (ebraica) dispersi (tra i popoli) e chiama sacrifici le loro preghiere. ora le preghiere e le azioni di ringraziamento compiute da uomini degni sono i soli sacrifici perfetti e graditi a Dio...; infatti solo questi i cristiani hanno avuto l'ordine di compiere, anche nella cerimonia del loro cibo solido e liquido, durante la quale commemorano la passione subita dal Figlio di Dio (Giustino, Dial. contro Trifone 117).

Egli vi unisce l'offerta del pane e del vino, sui quali a partire dal 2° secolo si sposta l'accento nel ricordare le offerte dei fedeli; questi elementi terrestri, che i cristiani portano a Dio, sono il sacrificio universale predetto da Malachia (1, 11).

Circa il sacrificio offerto a Dio da noi gentili in tutti i luoghi, cioè il pane e il calice dell'Eucaristia, ci fu allora una profezia nella quale Dio afferma che noi onoreremo il suo nome, quello che voi (ebrei) bestemmiate (Giustino, Dialogo 41, cita Ml 1, 11).

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Nel nostro sacrificio presentiamo a Dio ciò che già gli appartiene – sostiene Ireneo – vale a dire il pane e il vino:

Nel dare le sue istruzioni ai discepoli perché offrissero a Dio le primizie della sua stessa creazione – non perché egli ne avesse bisogno ma perché essi recassero frutti di gratitudine – Gesù prese tra le cose create un po' di pane e un po' di vino, rese grazie e disse: Questo è il mio corpo. Anche per lo stesso calice che è parte della sua creazione e che appartiene a lui, egli confessò che era il suo sangue e in tal modo insegnò come doveva essere l'offerta della nuova alleanza. La Chiesa ha ricevuto il comando dagli apostoli e la offre in tutto il mondo a Dio che fornisce gli alimenti, come primizia dei suoi doni (Ireneo, Adv. Haer. 4, 17, 5).

Così, anche secondo Ireneo, si compie la profezia di Malachia circa il futuro sacrificio puro, offerto da Dio in ogni luogo. Che le parole di Giustino di riferiscano alla semplice offerta del pane e del vino, è reso chiaro in tutto il capitolo seguente (c. 18) di solito trascurato dai teologi:

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«Noi siamo obbligati a offrire a Dio le primizie della sua creazione, come comandò Mosè dicendo di non apparire dinanzi a Dio con mani vuote ». La differenza tra le antiche offerte e le nuove sta nel fatto che noi, cristiani, siamo liberi e non schiavi come gli ebrei. « Solo la chiesa offre al creatore questa offerta pura, presentandogli, con ringraziamenti, cose prese dal creato ». « Noi ora gli presentiamo delle offerte, non perché egli ne abbia bisogno, ma per ringraziarlo dei suoi doni, e in tal modo santifichiamo quello che egli ha creato ». Inizialmente, come appare al tempo di Ippolito (3° secolo), l'eucaristia fu appunto chiamata anche «offerta», proprio per il risalto che si dava alla presentazione dei doni: pane, vino, olio, aiuto per i poveri. Appunto tale offerta costituiva allora il vero e proprio sacrificio dei fedeli, e non un solo rito preparatorio al sacrificio eucaristico. L'eucaristia, al dire di Agostino, non era la rinnovazione di un sacrificio della croce, ma solo « la memoria del sacrificio della croce che si attua dopo l'ascensione di Gesù (al cielo) » (Agostino, Contra Faustum 20, 21).

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b) Sacrificio e sacerdozio

Con lo sviluppo liturgico della messa, la presidenza fu riservata a qualche persona (vescovi-sacerdoti) per cui si andò formando l'idea che il sacerdote avesse un potere superiore a quello dei semplici laici. Prima ognuno compiva la sua offerta sacerdotale, in seguito i fedeli la presentavano al sacerdote scelto dalla comunità. Il primo passo si compì in Africa con Cipriano che così scrive:

Dal momento che Gesù Cristo, Signore e Dio nostro sommo sacerdote di Dio e primo offerente di se stesso al Padre in sacrificio, comandò di fare questo in sua memoria, davvero il sacerdote che imita quello che Gesù ha fatto, compie esattamente l'ufficio di Cristo e nella chiesa di Dio offre un vero e completo sacrificio qualora si accinga ad offrirlo nello stesso modo con cui ha visto il Cristo offrirlo (Cipriano, Ep 63 (62) PL 4, 385).

L'offerta dei doni (pane e vino), pur essendo ancora un atto del sacerdozio universale dei credenti, è ora data nelle mani dei sacerdoti ufficiali perché essi stessi la presentino a Dio.

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