GESUMIAFORZA

LA CENA DEL SIGNORE

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    hekamia
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    00 13/05/2011 17:16
    L'agàpe a questo punto si fa mistero. La presenza del Signore si fa viva e reale. Le apparenze sensibili restano quelle che erano, pane e vino; ma la loro sostanza, la loro realtà è intimamente cambiata; quelle restano solo per significare ciò che le ha definite la parola onnipotente, perché divina: corpo e sangue. Noi rimaniamo attoniti. Anche perché questo prodigio è proprio ciò che il Signore ci ha detto di ricordare; anzi di rinnovare.

    I documenti più importanti si trovano nell'enciclica Mysterium fidei (1965) e nella Professione di fede del popolo di Dio (30 giugno 1968). Nella prima, dopo aver respinto alcuni termini moderni come « transignificazione » e «transfinalizzazione » che non accennano alla reale conversione ontologica di tutta la sostanza del pane e del vino nelle sostanze del corpo e del sangue di Cristo, Paolo VI soggiunge:

    «La norma di parlare che la chiesa nel suo lungo secolare lavoro non senza l'aiuto dello Spirito santo, ha stabilito, confermandola con l'autorità dei concili, norma che spesso è divenuta la tessera e il vessillo dell'ortodossia, dev'essere religiosamente osservata: né alcuno, secondo il suo arbitrio o col pretesto di nuova scienza, presuma di cambiarla ».

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    hekamia
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    00 13/05/2011 17:16
    Gli enunciati del Tridentino

    non esprimono concetti legati a una certa forma di cultura, a una determinata fase di progresso scientifico, all'una o all'altra scuola teologica, ma presentano ciò che la mente umana percepisce della realtà... e perciò tali formule sono intelligibili per gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

    E' quindi « necessario serbare un esatto modo di parlare, affinché con l'uso di parole incontrollate non ci vengano in mente false opinioni circa la fede nei più alti misteri ».

    Quindi con grande chiarezza, Paolo VI sconfessa alcuni modi recenti di intendere questa presenza reale:

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    hekamia
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    00 13/05/2011 17:16
    Malamente dunque qualcuno spiegherebbe questa forma di presenza immaginando il corpo di cristo glorioso di natura pneumatica onnipresente, oppure riducendola ai limiti di un simbolismo, come se questo augustissimo sacramento in neint'altro consistesse che in un segno efficace della spirituale presenza di Cristo e della sua intima congiunzione con i fedeli membri del corpo mistico.
    La sostanza del pane e del vino non è più quella che era prima, ma un'altra cosa tutta diversa; e ciò non soltanto in base al giudizio della fede della chiesa, ma per la realtà oggettiva, poiché convertita la sostanza o natura del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo, nulla rimane più del pane e del vino che le sole specie, sotto le quali Cristo tutto i9ntero è presente nella sua fisica realtà... Perciò (è questa realtà) che è contenuta, offerta e mangiata.

    Anche nel Credo del popolo di Dio (1968) Paolo VI dichiara: « Questa conversione in modo conveniente si chiama transustanziazione da parte della Santa chiesa ». Quindi nessun cedimento nei riguardi della tradizione di fronte ai movimenti moderni, anche se talune idee sono state reinserite nel pensiero tradizionale. A ragione J. Guitton nella sua prefazione a un recente libro di un domenicano francese, così concludeva:

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    hekamia
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    00 13/05/2011 17:17
    Rileggendo Pascal, ho trovato alcune formule mirabili per esprimere questo mistero, che egli aveva posto al centro della sua vita e della sua morte: Noi crediamo che la sostanza del pane essendo cangiata e trasformata in quella del corpo del Nostro Signore Gesù Cristo, egli è realmente presente. Ecco una delle verità. Un'altra è che questo sacramento è altresì la figura della croce e della gloria, ed è il memoriale di entrambe. Questa è la fede cattolica comprendente queste due verità, che sembrano opposte.

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    4) La pratica

    Le idee precedenti sono state inserite praticamente nella nuova liturgia della Messa e nelle norme riguardanti la distribuzione della comunione recentemente emanate dal Vaticano.

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    hekamia
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    00 13/05/2011 17:17
    a) La Messa

    Il 25 marzo 1970 Paolo VI ha pubblicato il nuovo Messale Romano che si apre con le costituzioni apostoliche Missale Romanum del 3 aprile 1969 e Mysterii Paschalis del 14 febbraio 1967 per la promulgazione del nuovo calendario romano. In questo nuovo rito il sacerdote bacia dapprima la mensa ridotta a un semplice tavolo comune con poche candele accese e con un calice di materiale non prezioso. Saluta poi il popolo con le parole: «Fratelli, riconosciamo i nostri peccati per essere degni di celebrare i sacri misteri ». Seguono tre letture bibliche tratte rispettivamente dall'Antico Testamento, dalle lettere apostoliche e dai vangeli in modo di presentare in tre anni tutte le più importanti parti della Bibbia. Dopo l'omelia si svolge una preghiera universale, il cui tema può anche essere proposto dai fedeli.

    Recitato il credo, si fa l'offerta del pane e del vino, possibilmente anche di altri doni, per la chiesa e per i poveri, mentre si recita la seguente preghiera: « Benedetto sei tu, Signore, Dio dell'universo; dalla Tua bontà abbiamo ricevuto questo pane (vino) frutto della terra e del nostro lavoro, e lo presentiamo a te perché divenga per noi cibo di vita eterna ».

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    00 13/05/2011 17:17
    Segue l'usuale consacrazione del pane e del vino, poi la rottura del pane, che dovrà apparire visibilmente, per cui il « pane eucaristico, sebbene azzimo, deve essere fatto in modo tale che il sacerdote nella messa celebrata con il popolo, possa spezzare l'ostia in varie parti e distribuirla almeno ad alcuni fedeli ». La « rottura del pane», secondo l'istruzione, « è la definizione più apostolica dell'eucaristia », perché nell'unico pane distribuito tra i fedeli si raffigura l'unità e la carità che tutti riunisce.

    Prima di distribuire il pane (e talora anche il vino) ai fedeli, che lo ricevono in piedi con le proprie mani, il sacerdote invita l'assemblea a scambiarsi il « segno di pace»: abbraccio, bacino o inchino, stretta di mano ecc. Esso deve mostrare l'amore e il mutuo perdono che lega tutti i partecipanti alla celebrazione della Messa. I laici possono anche autocomunicarsi, prendendo personalmente l'ostia dalla pisside, purché si elimini ogni pericolo di irriverenza e non se ne lasci cadere in terra alcun frammento. In alcuni casi, come in occasione delle nozze, i fedeli possono anche bere un sorso di vino dal calice.

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    00 13/05/2011 17:17
    Il rito termina con un cantico di ringraziamento, un'ultima preghiera sacerdotale, la benedizione finale e la frase di commiato; « La Messa è finita, andate in pace ». Se si vuole, il culto può prolungarsi ancora con una breve discussione su qualche brano biblico o sopra un argomento di attualità.

    Il papa, presentando la nuova Messa ai fedeli, suggeriva il dovere di «fare della Messa più che mai una scuola di profondità spirituale e una tranquilla ma impegnativa palestra di sociologia cristiana ».

    L'obbligo di santificare la domenica con la Messa (sotto pena di peccato mortale) è imposto a tutti i cattolici, che non ne siano fisicamente o moralmente impediti. La celebrazione domenicale cattolica è quindi più vicina alla pratica neotestamentaria che non l'uso di alcuni gruppi protestanti, che limitano la celebrazione della cena del Signore a qualche festività annuale. Al contrario l'obbligatorietà sotto minaccia di colpa grave non corrisponde alla responsabilità che dovrebbero avere tutti i cristiani: al culto essi devono andare spontaneamente, per fede, per bisogno interiore e non per una imposizione dall'esterno. Per meglio dare ai fedeli la possibilità di santificare la festa si è ora concessa, a discrezione del vescovo diocesano, la facoltà di anticipare la celebrazione della Messa domenicale al sabato sera. Tale facilitazione può accordarsi (almeno in parte) con l'uso dei primi giudeo-cristiani che celebravano la cena del Signore al principio della domenica, la quale per loro iniziava con il tramonto del sabato.

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    00 13/05/2011 17:18
    b) Norme per la distribuzione della comunione

    Possono distribuire la comunione non solo i ministri ordinari (sacerdoti, diaconi, accoliti) ma in casi particolari – concorso di popolo, carenza di personale – anche altre persone a ciò deputate dal vescovo. Si noti la solita gerarchizzazione degli atti di culto per i quali si allarga sempre più la cerchia degli addetti dietro permesso vescovile, mentre sino al secolo VIII tutti i cristiani potevano tranquillamente e senza alcun permesso da parte della gerarchia prendere e portare altrove il pane e il vino eucaristico. Solo in seguito ciò fu riservato al clero propriamente detto, esentandone del tutto i laici. Con la Istruzione Fidei Custos emessa il 30 aprile del '66 dalla S. Congregazione dei sacramenti si attribuiva ai vescovi e agli abati dei monasteri il diritto di designare i ministri straordinari secondo la successione seguente: « suddiacono (ora non più esistente), chierico minore, tonsurato, religioso laico, religiosa, catechista, semplice fedele, uomo o donna ». Con la recente istituzione del '73 ( Immensae caritatis) solo i vescovi (e non più gli abati) possono scegliere i ministri straordinari, seguendo la precedenza che essi ritengono più opportuna, preferendo per la sua capacità magari un religioso a un seminarista, una donna a un uomo e via dicendo.. So confermò invece la proibizione dell'autocomunicazione sia che essa si attui accostandosi direttamente al vaso contenente il pane o il vino, sia facendo circolare il vaso con gli elementi consacrati; è pure proibito conservare l'eucaristia in casa propria. Si ammette invece la possibilità in casi particolari – celebrazione comunitaria, ma non per devozione – di una duplice comunione in un sol giorno però solo durante la celebrazione della Messa, rimanendo stabile la norma generale semel tantum in die (una volta soltanto al giorno).

    Che direbbe l'apostolo Paolo – il cantore della libertà in Cristo – di fronte a questo abbondante legalismo proprio del potere gerarchico (il vescovo nel caso presente a scapito della semplicità e della spontaneità dei primi cristiani, per i quali la cena eucaristica, come indica lo stesso nome, era una vera cena, nella quale prendevano del pane e del vino senza timore di violare particolari tabù liturgici? Solo l'amore vi doveva regnare, privo di qualsiasi legalismo creato arbitrariamente da uomini e imposto in nome di Dio.

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    00 13/05/2011 17:18
    5) Conseguenze pratiche

    a) Esteriorizzazione

    Per i primi credenti occorreva prepararsi alla comunione con viva fede e con amore, vedendo, al di là del pane e del vino che si prendeva, il corpo straziato di Gesù e il sangue da Lui versato dall'alto della croce. Ora invece ci si deve preparare anche con una particolare disposizione del corpo, data dal digiuno, mentre al tempo di Paolo la comunione eucaristica si svolgeva al termine di un vero banchetto d'amore e quindi senza alcun digiuno (agàpe cf 1 Co 11, 2). Nel corso dei secoli si volle invece che il corpo di Cristo, entrando nello stomaco, non vi trovasse altri cibi fermentati, di qui il digiuno richiesto fino a qualche anno fa dalla mezzanotte precedente al momento della comunione. In alcune città (Brescia ad esempio), dove vigeva l'uso di celebrare la Messa natalizia alla sera della vigilia, due sacerdoti dovevano stare digiuni per timore che uno dei due avesse a violare il digiuno bevendo inconsciamente un sorso d'acqua o una medicina. Dopo il Vaticano II la legge del digiuno si è andata sempre più affievolendo: due ore per il cibo e poco meno per le bevande. Di recente si è ridotto tale periodo a un quarto d'ora per gli ammalati e gli anziani (senectus ipsa morbus) congiuntamente ai familiari e agli addetti alla loro assistenza.

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    00 13/05/2011 17:18
    L'istruzione (Memoriale Domini 28-5-69) ha poi cercato in modo curioso di spiritualizzare il digiuno eucaristico:

    Per riconosce la dignità del sacramento e suscitare il gaudio per la venuta del Signore, è opportunamente determinato un tempo di silenzio e di riflessione prima di ricevere la S. Comunione. Per gli ammalati invece sarà sufficiente segno della loro pietà e del loro rispetto, se un qualche breve tempo essi rivolgano l'animo a così profondo mistero.

    Parole ottime ma mi vien da chiedere in che rapporto esse stiano con il digiuno corporale!

    L'istruzione raccomanda pure che si abbia rispetto verso la sacra ostia anche quando la si riceve sulla mano (in Italia ciò non è ancora stato autorizzato dalla conferenza episcopale!). Da molti secoli la comunione si distribuisce infatti deponendola sulla lingua, mentre nei primi secoli la si prendeva tranquillamente con le proprie mani (con o senza fazzoletto). La recezione sulla lingua fu occasionata da un senso di « rispetto » verso « il SS. Sacramento »
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    00 13/05/2011 17:18
    e da un senso di umiltà; non vi fu estranea la premura di evitare i pericoli della profanazione con la dispersione di alcuni frammenti dell'ostia consacrata. Chissà che ne direbbe un cristiano di oggi se potesse trasportarsi alla celebrazione eucaristica di Corinto dove queste preoccupazioni mancavano del tutto e dove l'apostolo Paolo esigeva solo che al di là del pane si vedesse il Cristo morente e risorto e che vivesse l'amore fraterno senza prescrizioni sterili, che poi si vanno tranquillamente mutando nel corso degli anni secondo il volere del legislatore! Non capisco come mai toccando l'ostia con la lingua anziché con la mano si abbia a rispettare meglio il mistero eucaristico, quasi che la mano abbia meno dignità della lingua! In ciò appare straordinariamente preponderante il peso dell'abitudine: secondo un'inchiesta promossa dal Vaticano la stragrande maggioranza dell'episcopato mondiale si è mostrata contraria a permettere che l'ostia sia presa con la mano anziché con la lingua e questo per la riverenza dovuta ad essa a anche per meglio salvaguardare l'ortodossia circa la dottrina eucaristica.. Ad ogni modo se si prende l'ostia con la mano, va presa solo dopo che il comunicante ha risposto Amen al distribuente e va posta in bocca prima di tornare al proprio posto (si ricordi che la pisside con le ostie non può circolare tra i comunicandi!). Si veda come la legge liturgica complichi il gesto stupendo stabilito da Cristo a «ricordo» della sua passione, morte e resurrezione.
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    00 13/05/2011 17:19
    b) Adorazione dell'ostia

    La presenza di cristo non si limita alla celebrazione della messa, ma perdura anche dopo nelle ostie consacrate fino a quando non perdono l'apparenza del pane.

    Il Signore – dice Paolo VI – rimane nella specie sacramentale e questa permanenza non solo giustifica ma esige il culto suo proprio.: l'adorazione specialmente, la santa Comunione fuori dalla messa... la processione solenne.

    Di qui la festa del Corpus Domini dedicata a Gesù eucaristico, celebrata con la caratteristica processione dove è possibile, la quale sorta nel 13° secolo per impulso della «beata» Giuliana di Monte Cornillon, fu estesa a tutta la chiesa con la bolla Transiturus di Urbano IV (m. 1264).

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    00 13/05/2011 17:19
    Paolo VI nel suo Credo del popolo di Dio, presentò «il santo sacramento del Tabernacolo» come « il cuore vivente della nostra chiesa » che di continuo intercede per noi. Di qui il suggerimento di conservarlo in un apposito altare laterale dove i fedeli lo possano debitamente visitare.

    Sarà bene inoltre rivendicare, contro certe negazioni qua e là circolanti, la permanenza della presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche oltre la celebrazione della Messa, durante la quale esse furono consacrate. Cristo rimane; ed allora si giustifica anzi si esige un culto specialissimo all'Eucaristia... Così il culto del Tabernacolo, l'adorazione privata e pubblica del SS. Sacramento, la processione... In occasione del Corpus Domini, i congressi eucaristici hanno la loro ragione di essere secondo la fede, la liturgia, la teologia, la pietà.

    La Istruzione sul culto del mistero eucaristico della Sacra Congregazione dei riti (25 maggio 1767) ha messo in risalto l'utilità dei pii esercizi eucaristici sopra ricordati. Al n. 49 così esso afferma:

    La conservazione delle sacre specie per gli uomini infermi fece sorgere la lodevole abitudine di adorare quel cibo celeste, che è riposto nel tempio. E in vero questo culto di adorazione poggia su di una valida e solida base, soprattutto perché la fede nella presenza reale del Signore conduce naturalmente alla manifestazione esterna e pubblica di quella fede medesima.

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    00 13/05/2011 17:19
    c) Sacralizzazione della natura

    E' un fatto indiscutibile che spesso l'uomo utilizza in senso deleterio gli elementi naturali che lo circondano e che perciò bramano la propria liberazione (Rm 8, 22).

    Ora nei sacramenti alcuni elementi naturali servono di veicolo per conferire doni spirituali: olio nella cresima, acqua nel battesimo. Nella eucaristia il pane e il vino diventano addirittura il mezzo mediante il quale Gesù stesso divine presente in mezzo a noi. In tal modo il creato dà gloria a Dio e diviene strumento di salvezza, preannunciando la situazione escatologica finale, quando servirà solo per il bene. Quindi il Vaticano II disse che nell'eucaristia «gli elementi naturali, coltivati dall'uomo, sono trasformati nel corpo e nel sangue glorioso di Gesù Cristo.

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    00 13/05/2011 17:20
    d) Sacralizzazione del tempio

    I pagani avevano dei templi consacrati ad alcune divinità, le quali distribuivano i loro favori ai devoti che vi si recavano in pellegrinaggio. Anche gli ebrei ritenevano che Dio dimorasse particolarmente nel tempio di Gerusalemme, considerato per questo l'ombelico della terra e lo ritenevano un potente talismano contro ogni malanno per cui al preannuncio di Geremia, che profetizzava la distruzione della città, opponevano la loro fiducia nel santuario divino: « Tempio di Jahvè! Tempio di Jahvè! Non periremo mai » (Gr 7, 4). La tradizione rabbinica pose a Gerusalemme i più importanti atti salvifici di Dio: sepoltura di Adamo, immolazione di Isacco, deposizione dell'arca al tempo di Davide, costruzione del tempio ad opera di Salomone. Anche la tradizione giudeo-cristiana, riprendendo tale concetto, suppose che Adamo fosse stato seppellito proprio sotto il Calvario, per cui il sangue del nuovo Adamo colando dalla croce sul teschio del primo uomo ne avrebbe purificato la colpa. Tale leggenda sopravviveva ancora nel Medio Evo con l'albero della vita (Gesù Cristo), che affonda le sue radici nel sepolcro adamitico.

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    00 13/05/2011 17:20
    Con la conversione al cristianesimo delle masse pagane (secolo IV d.C.) i cristiani cercarono di dedicare ai loro martiri molti santuari pagani (Pantheon, ecc). Con la convinzione che Gesù, uomo-Dio, fosse presente nell'eucaristia, venne rafforzata l'idea del tempio, ritenuto in tal modo la sede della divinità, racchiusa nel Tabernacolo e dinanzi al quale di continuo deve ardere una lampada a segno della presenza divina.

    Nelle chiese e negli oratori, Cristo è davvero l'Emmanuele, cioè Dio con noi, perché giorno e notte egli è in mezzo a noi, abita con noi pieno di Grazia e di verità (Gv 1, 14).

    Di qui la sacralità della casa di Dio, che deve essere consacrata e benedetta, il desiderio che sia bella e adatta al Cristo che vi abita. La chiesa ha perciò sempre voluto che le cose appartenenti al culto sacro splendessero veramente per dignità, decoro e bellezza. Anche l'arte moderna deve sapersi esprimere con la dovuta riverenza e il divino onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti.

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    hekamia
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    00 13/05/2011 17:20
    e) Sacralizzazione della casta sacerdotale

    Dal momento che solo i sacerdoti hanno il potere di consacrare l'eucaristia e di rendere presente il Cristo nel pane e nel vino, ecco che il sacerdote viene elevato a una dignità del tutto particolare. E' lui che, come alter Christus in terra parla a nome di gesù, quando dice nella consacrazione eucaristica « Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue ». Con quel « mio » non parla del proprio corpo o del proprio sangue, bensì del corpo e del sangue di Gesù, del quale si fa portavoce. Il sacerdozio di Cristo si esercita particolarmente attraverso l'atto dei suoi ministri sacerdoti e il suo sacrificio unico e la sua unica mediazione si continuano nei gesti liturgici dei suoi sacerdoti. Quindi nell'ultima cena, invitando i suoi apostoli a ricordarlo nel dire: « Fate questo in memoria di me », Gesù li costituiva suoi sacerdoti.

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    00 13/05/2011 17:20
    Quel comando di gesù «Fate questo» è una parola creatrice, miracolosa: è una trasmissione di un potere, ch'Egli solo possedeva; è l'istituzione di un sacramento, il conferimento cioè di un sacerdozio di Cristo ai suoi discepoli; è la formazione dell'organo costituente e santificante del Corpo mistico, la sacra gerarchia, resa capace di rinnovare il prodigio dell'ultima cena (Paolo VI, Oss. Rom. 9-4-66, p. 1).

    Nell'Istituzione del 1972 , da parte del Segretariato per l'unione dei cristiani , Paolo VI sostiene che il potere ministeriale fu conferito da Cristo « ai suoi apostoli e ai loro successori, vale a dire ai vescovi con i presbiteri, perché attuino sacramentalmente il suo atto sacerdotale, con cui egli è offerto una volta per sempre al Padre... e si è dato ai suoi fedeli perché siano uno con lui ». Di conseguenza vedere un sacerdote è vedere cristo, offendere il sacerdote è offendere Gesù (sacrilegio) ed amare il sacerdote è amare Gesù.

    Di fronte a questo continuo sviluppa della originaria cena eucatistica, ci viene da chiedere quanto sia uno sviluppo armonico del pensiero biblico e quanto sia invece una deviazione da esso. Si deve perciò tornare anche qui alle sorgenti bibliche per vedere che cosa era in realtà la cena del Signore e che cosa essa deve significare per i credenti di ogni tempo e di ogni luogo.

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    hekamia
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    00 13/05/2011 17:21
    CAPITOLO SECONDO
    IL PANE DI VITA: PREANNUNCIO DELL'EUCARISTIA?

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    Indice
    1) L'uso dei primi cristiani
    2) Il discorso di Gesù a Cafarnao
    3) Sviluppo unitario del discorso
    4) Tutto il discorso concerne la fede
    5) La chiave interpretativa del discorso
    6) Chiarimento dato da Gesù ai discepoli
    7) Simbolismo del tempo
    8) Storia dell'interpretazione



    CONTINUA

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